Ludopatia: quando la società manca di fiducia in sé

Era piena la Sala San Nicola del Palazzo Papale in occasione del convegno su “Giochi e scommesse, oltre la ludopatia”. Un’iniziativa, promossa dal Fsi di Rieti, che ha visto tra i relatori il vescovo Domenico e il prof. Claudio Leonardi, tossicologo e presidente della Società Italiana Patologie da Dipendenza

È stato un momento significativo quello dell’incontro attorno ai temi della dipendenza patologica da gioco d’azzardo svolto nella Sala San Nicola del Palazzo Papale di Rieti. Se non altro perché – come è stato rilevato all’inizio dei lavori – pur non essendo sconosciuto tra i problemi del contesto locale, l’argomento è rimasto completamente al di fuori del dibattito e dei programmi elettorali per le amministrative.

La prospettiva del ritorno alle urne per il ballottaggio nel capoluogo, potrebbe però essere l’occasione per aggiungere ai discorsi dei due candidati, il sindaco uscente Simone Petrangeli, e lo sfidante Antonio Cicchetti, qualche proposta in merito. Macchinette mangiasoldi (e mangiavita), infatti, in città non mancano, e il nostro non sarebbe certo il primo Comune a regolamentare la vita urbana del settore alla ricerca di una qualche difesa per le categorie più fragili ed esposte.

Da questo punto di vista, il convegno dello scorso sabato offre non solo uno spunto, ma anche una considerevole mole di dati e argomentazioni giuridiche, etiche e mediche. Alle prime ha provveduto Stefano Rosati, avvocato e membro del Fsi di Rieti. Tra gli altri dati ha ricordato che circa 12 milioni di euro vengono persi al gioco ogni anno nel capoluogo: «Guardando i negozi chiusi del centro, viene da domandarsi quanti consumi potrebbero essere sostenuti se qui soldi rimanessero nelle tasche dei cittadini» invece di essere “bruciati” nel gioco. La spesa per le scommesse, infatti, rappresenta una perdita secca, una spesa inutile, perché non si traduce in beni o servizi e dunque non avvia una virtuosa crescita economica.

Uno snodo accolto dal vescovo Domenico, che però ha voluto portare il discorso su un altro livello, invitando a cogliere nella dimensione ludica della vita quello spazio di libertà nel quale non trova spazio il «ritmo imposto dal produttore/consumatore».

Quando il gioco si capovolge in vizio, dunque, finisce con il negare questo «spazio franco in cui sperimentare la vasta gamma dei significati del vivere: libertà, amore, anima, arte» per condurre a «un’altra mentalità», quella di «tentare la fortuna per forzare la fatica del quotidiano». Una preferenza accordata al giocare piuttosto che al lavorare che finisce per sovvertire la realtà. È dunque pericoloso «mettere il silenziatore su quelli che sono i rischi e poi i danni cui si va incontro».

Anche perché «dietro questa scorciatoia si coglie un restringimento di visuale. La vita non è più vista come ricca di possibilità, ma come una strettoia in cui ci è dato di scommettere sulla fortuna o sulla sfortuna, senza averne alcuna responsabilità personale».  Una sfiducia nel futuro che a ben vedere, anche al di là della ludopatia, è tra le chiavi di lettura del nostro tempo, caratterizzato da una sorta di «vuoto dell’anima» per rispondere al quale occorre «restituire all’uomo la forza di riscattarsi da questa lenta e inesorabile forma di congedo dal vivere umano».

Da parte sua, il prof. Claudio Leonardi ha spiegato come il gioco patologico “plasticizza”, modella il nostro cervello e finisce con il determinare le nostre scelte. Una lezione preziosa, perché mette al riparo dall’idea che le troppe persone che finiscono in rovina a causa del gioco «se la sono andata a cercare». I giochi d’azzardo con cui abbiamo a che fare oggi, anche quelli apparentemente più innoqui, sono infatti studiati per sfruttare i meccanismi del cervello a proprio vantaggio, creando scientificamente i presupposti della dipendenza.

E a partire da questa conoscenza ha lanciato un allarme per quanto riguarda l’esposizione a queste pratiche degli adolescenti e dei bambini, fasce di età particolarmente vulnerabili perché il loro cervello non ha ancora completato a pieno il suo sviluppo. Buono dunque l’impegno del Fronte Sovranista sul tema, nella speranza che l’approfondimento stimoli un maggiore dibattito e una più piena consapevolezza nei cittadini, ma anche precise prese di posizione da parte della classe dirigente locale, in attesa che lo Stato si decida a cogliere le proprie contraddizioni.