Ludopatia e ipocrisia di Stato

I diversi aspetti del problema della ludopatia, presentati durante il convegno del 5 aprile, aprono ad una riflessione sulla natura e i compiti dello Stato.

È lecito pensare che ci sia una contraddizione tra la legalizzazione del gioco d’azzardo e la necessità di tutela e cura per chi si ammalasse di ludopatia?

Sembra proprio di sì. Da una parte l’amministrazione centrale non sembra disposta a rinunciare agli introiti che derivano dal giro d’affari di lotterie, “macchinette” e giochi on-line. Dall’altro non può neppure abbandonare a se stesse le vittime di questo meccanismo perverso.

Il che è un po’ come dire che lo Stato combatte un nemico che si crea da solo. Infatti il fenomeno non è sempre esistito in queste proporzioni. L’allarme sociale per la ludopatia è un fatto recente. Quindi, si tratta di capire cosa è accaduto negli ultimi anni. Perché la pratica dell’“azzardo”, dapprima sopportata e contrastata, a poco a poco è stata assunta tra le attività promosse e controllate dal settore pubblico? Pare ci sia quasi stato una sorta di cambiamento culturale.

Fino ai primi anni ‘90, infatti, il monopolio pubblico del gioco d’azzardo in Italia ha sempre cercato di regolare e “contenere” il fenomeno. Poi è qualcosa è cambiato. La metamorfosi è iniziata con il moltiplicarsi delle incarnazioni dei giochi ufficiali, come il Lotto, con l’espandersi delle scommesse sportive e con il diluvio di lotterie istantanee, “Gratta e Vinci”, “Win for life” e così via.

Tutte proposte ben accompagnate da pubblicità accattivanti, che invece di scoraggiare al vizio, da anni invitano gli italiani a sprecare i propri soldi nell’illusione di «vincere facile».

Una propaganda che in un ventennio ha segnato in maniera massiccia la cultura popolare italiana. Ad oggi circa la metà della popolazione è composta di giocatori abituali. Basta passare pochi minuti in un bar, in una tabaccheria, in un autogrill, per rendersi conto di quanto sia diffusa l’abitudine al gioco.

Evidentemente, lo Stato considera i prelievi sui giochi una sorta di irrinunciabile “bancomat”, cui ricorrere per fare cassa, e i problemi che ne derivano un inevitabile insieme di effetti collaterali.

Un discorso che vale anche per altre deplorevoli dipendenze, come ad esempio quella da nicotina.

Ma nel caso delle sigarette, lo Stato vieta la pubblicità. Anzi, da qualche anno ha varato norme stringenti per i fumatori e avviato vere e proprie campagne di contrasto del fenomeno. Se il fumo fa male, non si può dire «fuma responsabilmente».

Da un po’ di tempo, invece, alla fine degli spot sui giochi c’è proprio un ipocrita invito alla responsabilità. Quasi che lo Stato voglia pulire la propria cattiva coscienza lasciando ogni colpa al singolo giocatore.

È come se dicesse: «se dai retta al mio autorevole e attraente invito a farti male, a perdere la tua salute e il tuo denaro, la responsabilità è solo tua».

Comodo vero?