Lu piccirillu è saggio

È stata presentata nella biblioteca Paroniana la trasposizione in dialetto del Piccolo Principe di Saint-Exupèry. Un’ottima occasione per parlare in modo insolito di questa celeberrima opera.

Prima di tutto diciamo che non è affatto facile descrivere questo libro. Già è complicatissimo scrivere su un classico. Figuriamoci sulla trasposizione in dialetto di una traduzione. Molto più semplice risulta invece leggerlo, ed è proprio su questo che ci concentreremo.

Il fatto stesso che sia una “traduzione di traduzione” rende interessane la lettura, soprattutto a chi ha già letto l’originale. È infatti un testo a parte, con un tono completamente diverso dall’originale. La naturale comicità del dialetto trasforma ogni situazione, senza tradirne il significato comunque. Ma questo effetto permette già due letture opposte.

Una è quella dello svago. Godersi ogni paragrafo come fosse una battuta teatrale. Ma ovviamente con alla base un testo assolutamente non banale e dalla trama mai scontata. Un divertimento che non scade mai nella volgarità di certa letteratura per adulti. L’unico rischio è quello di rendere “lu piccirillu” ancora più piccolo.

Poi c’è la lettura astratta. Concentrarsi sui contenuti, sulla “filosofia” che sta sotto al linguaggio. Quasi prendendo le distanze, non solo dal dialetto ma anche dal genere “per bambini”. Attraverso la nostra lingua familiare questa differenza risulta ancora maggiore ed è persino più facile da capire. Ovviamente bisogna evitare di “invecchiare” eccessivamente il principe.

In realtà c’è un equilibrio tra gli estremi. Leggendo è inevitabile cogliere entrambi gli aspetti. Senza alcuno sforzo la leggerezza e la profondità del testo scorrono tra gli accenti familiari del reatino. Leggere, come sempre, è un bel lavoro. “E’ un laùru coscì béllu, e utile pe’ daéro, propriu preché è bbéllu”.