Lo Sceriffo riluttante ed il bandito irriducibile

Scherza Barack Obama alla cena dei corrispondenti della Casa Bianca, servendo, come dessert, ad i suoi commensali una raffica di battute auto-ironiche. Il presidente ha parlato ad un pubblico di volti noti, formato da politici, star del cinema e della musica, giudici della corte suprema. Tutti hanno ascoltato le sue parole con attenzione e dopo, al momento giusto, sono esplosi in fragorose ma composte risate. Il momento clou della serata è stato rappresentato dalla proiezione di divertenti fotomontaggi riguardanti il Presidente, protagonista persino di un breve e simpatico video girato da Stephen Spielberg. Barack Obama ribadisce anche quest’anno la sua “Dottrina dell’ironia”. L’immagine serena della serata, stona con la preoccupazione di un opinione pubblica Americana che si riscopre ancora vulnerabile passati pochi giorni dall’attentato di Boston.

Rivolgendosi ai repubblicani Obama ha pronunciato questa frecciata: «non sono più quel giovane musulmano e socialista che ero…». Di sicuro ormai, usciti dalla stagione elettorale, la propaganda “diffamatoria” sulle origini del presidente ha perso di attualità e di interesse. Nessuno oggi tra gli americani dubita più che Mr. Obama sia musulmano; ma (ironicamente) si può affermare che qualche dubbio abbia pervaso le menti dei suoi più stretti collaboratori.

Da quando le news di tutto il mondo hanno iniziato a trasmettere quei pochi video che mostravano i disordini ed i risultati della guerriglia dei bombardamenti in Siria, la politica del presidente americano è stata tutta tesa al non intervento. Barack Obama sembra aver preso davvero sul serio i doveri derivati dal premio Nobel per la pace, ovviamente nei limiti di ciò che la ragion di Stato obbliga ad uno statista di fare. L’amministrazione Obama ha annunciato il ritiro dall’Iraq e dall’Afghanistan, preferendo di combattere il terrorismo seguendo la strategia dei tagli chirurgici. Gli USA di Obama si sono serviti di operazioni svolte, in tutta segretezza, da reparti speciali e/o droni, con lo scopo di eliminare solamente il soggetto ritenuto una minaccia, limitando così al minimo il numero delle vittime collaterali (anche se questo sistema sembra aver suscitato lamentele riguardo la segretezza alla quale sottostanno ancora i documenti riguardanti le operazioni condotte con l’ausilio di droni).

Anche riguardo la Siria, Obama, ha deciso di muoversi cercando l’opzione “zero morti” (americani). Gli Stati Uniti si sono mossi per vie alternative alla guerra. Hanno già inviato 385 milioni di dollari in aiuti umanitari e, poiché è stato netto il rifiuto di Obama all’invio diretto di armamenti, si stanno occupando di indirizzare le spedizioni di armi e rifornimenti Sauditi ai ribelli. Inoltre agenti della C.I.A. stanno addestrando in Turchia cittadini siriani allo scopo di trasformare dei semplici ribelli in guerriglieri moderni. Il presidente ha tentato di trascinare Assad sulla via del dialogo. Come risultato della riluttanza americana all’intervento, Assad non ha cessato le violenze contro i ribelli ed il flusso di armi provenienti dai paesi arabi ha armato estremisti Sunniti e Sciiti, che ora combattono tra di loro.

Riguardo la questione siriana, quindi, il Presidente ha sempre optato per l’esclusione dello strumento militare. Eppure, sorprendentemente Obama ha annunciato in conferenza stampa un cambio di rotta strategica. Nel suo discorso, egli ha dato pubblicamente per vera la notizia riguardante l’uso di armi chimiche in Siria. Il problema risiede nell’incertezza delle notizie. A quanto dichiarato il Pentagono non sa da chi e dove queste armi siano state utilizzate. Per gli Stati Uniti venire in possesso di documenti che proverebbero l’utilizzo di armi chimiche da parte dei soldati di Assad, significherebbe l’arrivo ad un punto di non ritorno. Il superamento di questa red-line comporterebbe una risposta statunitense, ancora inspecificata, ma quasi sicuramente di carattere militare (forse con l’ assistenza di una coalizione occidentale formata da paesi Nato ed arabi filo-americani, con l’incognita Germania e dell’egida ONU). Sembra quindi che ora si sia arrivati alla fine della via diplomatica, e che questa sia bloccata da un muro eretto da Assad.

Le critiche alla politica non interventista non fanno testo se vengono da un vecchio falco di nome John McCain. Il senatore si è dichiarato favore sia alla possibilità di inviare armi alle frange ribelli che dare il via a massicci bombardamenti aerei.

Ma quando voci a favore dell’intervento provengono dalla “famiglia democratica”, tradizionalmente isolazionista e poco incline a ad appoggiare grandi sforzi militari, la rilevanza del messaggio cambia.

Infatti non fu solo il senatore democratico Carl Levin, forte critico della guerra in Iraq, ad avanzare l’ipotesi dell’istituzione di una no-fly zone sui cieli siriani e a sostenere la possibilità di porre in essere attacchi aerei capaci di neutralizzare le batterie missilistiche di Assad e la sua aeronautica (sullo stile guerra dei sei giorni); ma anche le personalità piu vicine al presidente come John Kerry, H. Clinton, Petreus (come capo della C.I.A.) e Leon Panetta si sono schierati a favore dell’intervento. Questi la scorsa estate hanno chiesto ad Obama la sottoscrizione di un piano riguardante almeno l’invio di armi in Siria. Il presidente Obama ha sempre rifiutato queste richieste.

I freni che inibiscono l’azione americana, sono costituiti da alcune difficoltà pratiche che gli Stati Uniti potrebbero incontrare nello scenario di in un’altra guerra mediorientale. Il presidente teme (come già sta accadendo) che l’invio di armi possa giovare alla cellula terroristica Al-Nusura-Front molto attiva in Siria e legata al nucleo pakistano di al Qaeda. In più non si può ipotizzare che sarà una guerra lampo rovesciare il governo di Assad. La Siria infatti sin dagli anni 50 acquista armi dalla Russia. Anche quest’anno rappresentanti militari siriani sono stati accolti all’Expo russo delle armi, dal quale non sono tornati in patria a mani vuote. Mentre tra i paesi occidentali vige il tacito accordo secondo il quale nessuno vende armi al governo Siriano, Vladimir Putin rifornisce Assad (ma anche Iran, Zimbabwe, Bahrain, Pakistan and Uganda) di aeroplani e sistemi di difesa antiaerea moderni, muniti di potenti radar e missili terra-aria. Un’ipotetica operazione militare in Siria, non si risolverebbe ne in pochi giorni ne solamente mediante l’utilizzo dell’arma aerea. A complicare la situazione ci si mettono anche i cavilli istituzionali. Infatti il diritto internazionale ammette l’invio di armi russo e cinese verso il governo di Assad (poiché ancora legittimo), mentre vieta l’invio di armi ai ribelli da parte di nazioni terze. L’Occidente le invia infatti per vie non istituzionali. Sull’arena internazionale un Obama riluttante deve confrontarsi con il veto di Mosca e di Pechino, da una parte, e la spinta interventista di Londra e Parigi dall’altra che stanno chiedendo da tempo all’unione europea di togliere l’embargo sull’invio di armi ribelli.

La nuova linea dura di Obama è stata quindi dettata dalla minaccia rappresentata dal gas nervino (Sarin e VX) siriano, o da pressioni politiche interne ed esterne? In uno scenario dove la carenza di informazioni e la disinformazione, attuata da parte di servizi segreti statali ed agenzie di PR, rende offuscata la totale comprensione del teatro, sarà difficile capire se la Siria ha veramente o no armi chimiche, se le ha autoprodotte o acquistate, se sarà possibile un intervento nonostante il veto sino-russo. L’unica cosa certa, quest’oggi, è che il dialogo non è più un’opzione contemplata dall’agenda americana sotto la voce Siria.