Libro di Agostino Bagnato sulla natura e poesia nella Divina Commedia

In un libro di Agostino Bagnato i rapporti tra poesia e pittura nell’opera del grande fiorentino

“Ogni aspetto della natura può essere, quando sia osservato, argomento di poesia”.

La frase dello storico inglese Herbert Fisher è stata giustamente ripresa e approfondita da Agostino Bagnato nel suo “Natura e poesia nella Divina Commedia” (L’Albatros, 133 pagine con riproduzioni di opere a colori). Bagnato è uno studioso da sempre attento ai rapporti tra cultura, economia e territorio, e non a caso una delle sue più recenti opere, “Abbazie e monasteri nella storia d’Italia” è uno studio su come il monachesimo abbia contribuito alla ripresa dopo la crisi dell’impero romano. Da poco terminati i festeggiamenti per i 750 anni della nascita di Dante, lo studioso si pone l’obiettivo di approfondire il rapporto tra natura e poesia nel grande fiorentino. Come intendeva la natura il Poeta? Che tipo di economia agricola egli rappresentava nelle sue opere? Che cosa lo colpiva di più dell’infinito spettacolo che la natura offre agli animi più attenti e sensibili? La risposta è che – come d’altronde in tutti i geni – la sua visione delle acque, delle terre, del sole e delle stelle era intimamente legata alla sua opera. Non vi è uno stacco, una soluzione di continuità: gli elementi del cosmo gli servono per narrare la creazione, poiché le menti umane non potrebbero intuirne l’abissale fascino senza l’aiuto del linguaggio della natura. Non è un caso che Bagnato dedichi uno dei suoi capitoli più suggestivi alla descrizione della Candida Rosa nella quale “la milizia santa”, la schiera degli angeli, viene paragonata alla “schiera d’ape che si infiora”. Quando il Poeta descrive il comportamento delle greggi, ad esempio nel terzo e nel ventisettesimo canto del Purgatorio, mostra una sicura conoscenza della “capacità evocativa”, sono parole di Bagnato, di quegli animali. Le attività legate alla pesca sono, nota l’autore, descritte in modo preciso e documentato, anche perché probabilmente Dante aveva approfondito la conoscenza delle tecniche agricole e marinaresche nel corso del suo pellegrinaggio attraverso le corti signorili della penisola. Come anche nel caso di Roma: le descrizioni del paesaggio dell’Urbe nei pressi di san Pietro, precise e dettagliate nella Commedia (vedi il canto XVIII dell’Inferno) fanno pensare alla reale presenza del Poeta in occasione del Giubileo indetto da Bonifacio VIII nel 1300: “La precisione con cui sono descritti i luoghi non sembra lasciare dubbi sul fatto che Dante abbia assistito personalmente all’affollarsi dei pellegrini sul ponte S. Angelo in direzione della basilica”.
La descrizione del paesaggio apre nel contempo il discorso sulla seconda parte del libro, una suggestiva riproduzione a colori di opere di artisti internazionali su Dante e sulla sua Commedia (l’aggiunta “divina” è dovuta all’influenza di un suo grande ammiratore, Boccaccio). È possibile, con un solo colpo d’occhio, avere un’idea di come tra la fine del ventesimo secolo e l’inizio del nuovo l’arte abbia inteso un messaggio ancora oggi arduo da capire per la sua abissale profondità. Opere di stili e di tecniche diverse che però ci aiutano, se non a decifrare, almeno a intuire elementi che possano tentare di conciliare la nostra percezione dello spazio-tempo e l’insostenibile dimensione dell’oltre divino. Come nel caso dell’acquaforte di Ennio Calabria, autore tra l’altro dell’impressionante Crocifissione esposta per l’Anno Santo a Sant’Andrea della Valle a Roma: “Dante si fa cosa del Cosmo”, questo è il titolo dell’opera, offre il senso di circolare e divina ricongiunzione dell’uomo con il suo Principio che è presente dal primo all’ultimo canto della Commedia.