Legge 194: l’ardire di un giudice

C’è una notizia che, in questa estate torrida e austera, è passata sotto silenzio. Ma si tratta di una notizia che ha dell’incredibile.

Protagonista della vicenda è una legge dello Stato italiano, la Legge 194. Ormai la si chiama così, per numero, senza neppure più dire che cosa regolamenti. È più elegante, un numero, è meno compromettente e coinvolgente, fa pensare che sia una legge tra le altre, come le altre, una legge dello Stato ormai talmente compenetrata nel nostro modo di vivere da essere ordinaria. Così ci si sottopone ad Ivg (interruzione volontaria della gravidanza) così come ci si avvale di una Scia per modifiche edilizie al proprio appartamento.

È ormai diventata una legge totem, la conquista più importante e concreta di quel movimento di liberazione femminile che – alla fine – è stata la massima espressione del “Sessantotto”, la vittoria indiscutibile del principio di autodeterminazione della donna che ha superato il vaglio del referendum popolare al grido di «io non abortirò mai, ma non posso impedire che altri lo facciano». Come Pilato ce ne siamo lavati le mani, ieri come oggi, la storia si ripete.

Una legge per la quale è fatto assolutamente divieto anche solo pronunciare il termine “modifica”, non se ne parla neppure di una possibile riforma.

Ebbene questa legge inattaccabile è stata messa in discussione da un piccolo giudice che ha avuto l’ardire di sospettare che essa non fosse costituzionale. Mai si era arrivati a tanto. Il piccolo e coraggioso Davide (non sappiamo in realtà se questo sia il suo nome, ma gli si addice) è un giudice tutelare spoletino, che ha rinviato l’art. 4 della Legge 194 – quello che consente l’aborto nei primi 90 giorni di gravidanza – all’esame della Corte Costituzionale, con argomentazioni del tutto ragionevoli.

Egli richiama la recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea circa il divieto di commercializzazione dell’embrione umano, nella quale è stata data per la prima volta la definizione di embrione, ossia «qualunque ovulo umano sin dalla fecondazione». L’embrione umano è quindi «suscettibile di tutela assoluta in quanto uomo in senso proprio, seppur ancora nello stadio di sua formazione/costituzione mediante il progressivo sviluppo delle cellule germinali».

Se così è, continua il giudice, la facoltà di procedere volontariamente all’interruzione della gravidanza comporta «l’inevitabile risultato della distruzione di quell’embrione umano che è stato riconosciuto quale soggetto da tutelarsi in modo assoluto nel diritto vivente della corte europea».

Sono considerazioni di assoluto buon senso: se tuteliamo l’embrione umano affinché non venga commercializzato, a maggior ragione dovremmo averne cura per impedirne la distruzione.

Purtroppo l’inaspettata iniziativa del giudice spoletino ha avuto vita breve. La Consulta con ordinanza del 20 giugno scorso ha dichiarato inammissibile la questione, in quanto il giudice tutelare deve soltanto verificare che la volontà della donna sia effettiva, libera e non condizionata, e non ha potestà codecisionale, «la decisione essendo rimessa soltanto alla responsabilità della donna». Quindi la questione della costituzionalità della Legge 194 non è rilevante nel caso di specie.

Non resta che aspettare una questione sull’Ivg che sia rilevante (se esiste) e soprattutto un altro Davide da Spoleto (se esiste).