L’editoria terremotata

Dopo la fusione Repubblica-Stampa-Secolo XIX. La prepotenza del web

La profonda crisi che l’editoria – italiana ma non solo – sta attraversando da alcuni anni a questa parte, sta provocando un terremoto nel panorama dell’informazione. Prima il cataclisma ha coinvolto i periodici, i prodotti su cui il web ha subito avuto un impatto devastante (si parla addirittura della trasformazione del glorioso L’Espresso in un allegato di Repubblica, e allora il culmine sarebbe raggiunto); quindi la vendita da parte di Rcs della divisione libri ai concorrenti della Mondadori; poi la fusione del genovese Secolo XIX con la Stampa di Torino. Infine – notizia di queste ore – l’incorporazione di questi ultimi nel Gruppo Espresso guidato dalla famiglia De Benedetti. Un’operazione che ha avuto l’effetto di una bomba.
A diluirsi in una partecipazione minoritaria del Gruppo Espresso è infatti la Itedi, insomma gli Agnelli. Che la Stampa la possedevano da una vita, e che sono stati sino a ieri azionisti di riferimento del principale quotidiano concorrente, il Corriere della Sera. John Elkann, patron della Itedi, ha infatti dichiarato che – oltre all’operazione Stampa-Repubblica – procederà alla vendita delle sue quote nella Rcs, l’editrice di Corriere e Gazzetta dello Sport. Insomma, con l’Italia e la sua stampa la Real famiglia torinese in buona sostanza ha chiuso; all’estero è invece diventata proprietaria nel glorioso e profittevole Economist. Quindi, più che al cuore e al potere, adesso guarda ai fatturati.
Tante le conseguenze di questa bomba. Il Gruppo Espresso forse si dovrà alleggerire, avendo superato (di poco) quel 20% delle tirature nazionali che ne fanno violare la legge sull’editoria quando fissa dei limiti massimi di presenza sul mercato. Soprattutto, il Corsera e i suoi variegati ed indecisi azionisti si ritrovano con il cerino in mano: aumentare la loro presenza in una Rcs iper-indebitata e in un business – l’editoria – che non regala certo soddisfazioni economiche? Far entrare qualche cavaliere bianco?
Con poco meno di 300 milioni di euro ci si potrebbe acquistare la quota di controllo del più prestigioso quotidiano nazionale e del più venduto quotidiano sportivo; ma il fatto che la cosa appaia poco stimolante ai più, dà l’idea delle difficoltà del settore e della progressiva perdita di appeal anche per i potentati economici e politici.
Da una parte la carta stampata sta battendo in ritirata nei confronti del web, incapace sia di fronteggiarlo, sia di utilizzarlo: quasi nessuno sa ricavarne soldi, mentre perde copie e pubblicità. Dall’altra, è rimasta veramente l’unico baluardo di giornalismo vero, quello che tira fuori le notizie, fa gli scoop, le inchieste; che insomma fa da cane da guardia al potere, ai poteri. La tv ha bisogno di immagini, senza è come cieca; il resto dei media – e in particolare il prepotente web – non ha la forza né la capacità di incidere sull’informazione, ma solo di replicarla, di diffonderla.
Spetta insomma alla carta stampata far capire ai suoi utenti, e a tutti gli altri che la ignorano, il proprio valore, cercando di avvicinarsi sempre di più ai gusti di chi va in edicola e apre il borsellino per acquistare un frammento di democrazia. Il successo dell’editoria locale e di alcune iniziative con forte qualità giornalistica fa capire che non è questione di trend, ma di qualità del prodotto: se c’è, ci sarà pure futuro.