Economia

L’economia irregolare vale 211 miliardi di euro: è il 12% del Pil

Tra sommerso e attività illegali si sfiora il 12% del Pil. In calo il lavoro nero, l'evasione si concentra nel settore del commercio, cresce il traffico di droga

L’economia “non osservata”, quella zona grigia che spazia dal sommerso all’illegalità, si rivela sempre un buon affare. Nel 2018, come tesimoniano i dati dell’ultimo rapporto Istat diffuso ieri, ha prodotto un valore aggiunto di 211 miliardi di euro, sfiorando il 12% del Pil (11,9% per l’esattezza). La buona notizia è che rispetto al 2017 il peso di questa economia “parallela” si è ridotto di circa 3 miliardi (-1,3%), confermando il trend degli ultimi anni dopo il picco raggiunto nel 2014 quando rappresentava il 13% del Pil. Ma l’incognita è ovviamente agli effetti della crisi innescata dalla pandemia.

L’economia sommersa ammonta a poco meno di 192 miliardi di euro, mentre quella prodotta da attività illegali a circa 19 miliardi. Rispetto all’anno precedente nel 2018 si osserva una lieve variazione del peso delle diverse componenti: a una riduzione delle quote legate alla sotto-dichiarazione (dal 46% al 45,3%) e all’utilizzo di lavoro irregolare (dal 37,5% al 37,2%), fa fronte un incremento di altre voci. L’economia non osservata è costituita dalle attività economiche di mercato che, per motivi diversi, sfuggono all’osservazione diretta della statistica ufficiale. Le principali componenti dell’economia sommersa sono costituite dal valore aggiunto occultato tramite comunicazioni volutamente errate del fatturato e/o dei costi (sotto-dichiarazione del valore aggiunto) oppure generato mediante l’utilizzo di input di lavoro irregolare. Ad esso si aggiunge il valore degli affitti in nero, delle mance e una quota che emerge dalla riconciliazione fra le stime degli aggregati dell’offerta e della domanda. Circa l’80% del sommerso in Italia si genera nel terziario, in particolare in tre settori: Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (40,3%), Altri servizi alle imprese (12,7%) e Altri servizi alle persone (12,0%).L’economia illegale include le attività di produzione di beni e servizi la cui vendita, distribuzione o possesso sono proibite dalla legge, e quelle che, pur essendo legali, sono svolte da operatori non autorizzati. Le attività illegali incluse nel Pil dei Paesi Ue sono la produzione e il commercio di stupefacenti, i servizi di prostituzione e il contrabbando di sigarette. Rispetto al 2017, si è registrato un incremento dell’1,8%, pari a 342 milioni di euro, meno rilevante di quello dei due anni precedenti, determinato per la quasi totalità dal traffico di stupefacenti. Per questa attività il valore aggiunto sale a 14,7 miliardi di euro nel 2018 e la spesa per consumi si attesta a 16,2 miliardi di euro. Coldiretti denuncia un indebolimento del settore alimentare a causa della pandemia.

«Dal campo alla tavola le agromafie sviluppano un business illegale e e sommerso da 24,5 miliardi che ora minaccia di crescere – ha detto il presidente Ettore Prandini – mettendo le mani su ampi settori della filiera a partire dalla ristorazione».Uno dei segnali positivi è la diminuizione del lavoro nero: nel 2018 i lavoratori irregolari sono stati 3 milioni 652 mila, in calo di 48 mila unità rispetto al 2017. Un calo diffuso in tutti i settori di attività economica ad eccezione dell’Agricoltura (+0,4%). L’incidenza è più rilevante nel terziario (16,4%) e raggiunge livelli particolarmente elevati nel comparto dei servizi alle persone (46,9%) dove si concentra la domanda di prestazione lavorative non regolari da parte delle famiglie. Molto significativa risulta la presenza di lavoratori irregolari anche in agricoltura (18,8%) e nelle costruzioni. Anche in questo caso la prudenza è d’obbligo. «È una buona notizia che il tasso di irregolari scenda ma in realtà è trainato da un aumento dei regolari – ha sottolineato l’economista Ocse Andrea Garnero – E con Covid-19 c’è il rischio di ripartire al rialzo».

da avvenire.it