Le province e la spartizione d’Africa

Il decreto legge del Governo per accorpare le province è cosa fatta. Dalle attuali 86 a statuto ordinario si scenderà a 51. L’operazione ha un po’ il sapore della spartizione d’Africa. Qualcuno, da fuori, accampa pretese e rivendicazioni su territori e popolazioni che avrebbero preferito andare per la loro strada. La cartina coi nuovi confini, progettati a tavolino, ha il sapore lontano di certe linee tirate con la riga sulla mappa del Continente Nero.

All’Europa di fine ‘800, come a quella di oggi, non interessavano gli uomini, le storie, le comunità. Sono spartizioni che seguono solo la logica del profitto e del più forte.

Che volete farci: l’Africa è il continente più ricco di risorse. In prospettiva storica – e con un po’ di cinismo – certe violenze si può pure arrivare a capirle. La realpolitik che muove il riordino delle province, invece, è un po’ più sfuggente. I denari consumati dal funzionamento di questi enti, dopo tutto, non è gran cosa. Anche a leggere il comunicato stampa del Governo sul tema si rimane perplessi. L’Esecutivo non sa anticipare a quanto ammonteranno i risparmi. Non si può escludere, dunque, che alla fine della gestazione la montagna partorirà il solito topolino.

Non importa, non è questo il punto. Non stiamo a negare che ci siano spese da ridimensionare, costi da tagliare, gestioni da razionalizzare. Ed è certamente vero che la casta politica attuale è quanto di più indecente, ignobile e ripugnante abbia prodotto la storia repubblicana. Andrebbe quasi sostituita in blocco: dal senatore all’ennesima legislatura ai mediocri funzionari degli enti locali. Ben venga, quindi, se si riesce a eliminare di qualche poltrona di troppo.

Quantità e qualità della classe dirigente però, non sono un problema economico: sono soprattutto un problema di moralità pubblica. Per i casi più gravi si può parlare di criminalità organizzata. Ma i conti dello Stato sono un’altra cosa. A guardare i numeri, si direbbe che nonostante le ostriche e lo champagne, la casta non pesi sui bilanci pubblici come siamo stati abituati a credere. I “soldi veri”, quelli destinati alla sanità, alla scuola, ai servizi pubblici, finiscono in ben altre tasche.

Il grafico riportato sotto, che ricalca quello elaborato dal blog ByoBlu (di Claudio Messora) a partire dai dati della Ragioneria Generale dello Stato (Bilancio 2011) e del «Sole 24 Ore», rende bene l’idea.


 


Altro che taglio province! Quello che ci «chiede l’Europa» sta da tutt’altra parte. Nonostante un certo clientelismo, i soldi facili e spesi a vanvera, l’indecenza di certi amministratori e la corruzione vera e propria, il problema dell’Italia non è certo nel mantenimento delle sue istituzioni, anche quando ha un costo esagerato.

Nel recente passato si sarà pure creata qualche provincia di troppo. Ma la realtà dei conti conferma il sospetto che certe operazioni si facciano più per motivi politici che economici: ritornano comode all’ideologia di certa Europa finanziaria.

A voler essere maligni, sembra quasi che i cosiddetti “costi della politica” siano le briciole di ben altri ladrocini, gettate ai comodi idioti di turno affinché gli enti funzionino male o siano abitati da personaggi impresentabili, ma disposti a votare qualunque nefandezza. Un bel modo per convincere l’opinione pubblica che, per definizione, la Repubblica è composta di istituzioni inutili e intrinsecamente criminose.

Ammettiamolo: la corruzione della “casta” è una micidiale arma di distrazione di massa. Non a caso sui giornali si spiega per filo e per segno il metodo dei Fiorito, ma poco o niente del Meccanismo Europeo di Stabilità e del Fiscal Compact! Ecco perché a non sapere cosa sono, come funzionano e quanto ci costano non c’è nulla di strano. Però converrebbe informarsi: ci si rimane pure un po’ male a scoprire che in fondo le Province non sono un gran problema, ma è meglio farsene una ragione e cominciare a badare alle cose che contano.

Spesso, infatti, i problemi più grossi passano per strade che si stenta pure a immaginare…