3. Le pietre miliari. Pio XI e la Quadragesimo anno

Il 15 maggio 1931 papa Achille Ratti commemora i quarant’anni dalla Rerum Novarum del suo grande predecessore, Leone XIII. L’Enciclica emanata in quest’occasione non è solo un ribadire e un riproporre delle importantissime posizioni che la Chiesa aveva preso in campo sociale, ma è una prosecuzione e uno sviluppo ulteriore che tenne conto dei tempi e delle circostanze. Il contesto storico a cui era diretta, del resto, era significativamente mutato: da una realtà prevalentemente rurale e segnata da una certa staticità, si era passati a un’industrializzazione e un’urbanizzazione ormai interpretati come fenomeni di massa. L’analisi della condizione operaia era stata posta in primo piano nella Rerum Novarum, Pio XI allarga lo sguardo verso un orizzonte più ampio tanto da abbracciare in modo più netto l’intero ordine sociale chiamando ad un confronto ciascuna componente della società con tematiche quali “giustizia sociale” e “bene comune”. È ovviamente impossibile in queste poche righe render conto della ricchezza e della complessità di pronunciamenti così importanti ma, come chiarito all’inizio di questa rubrica, proveremo a identificarne e spiegarne almeno alcuni. Da una parte la Quadragesimo anno apre questa più ampia riflessione, di cui appena sopra, riprendendo il senso e il valore della proprietà privata, sottolineandone la legittimità ma anche aggiungendo che essa non riguarda solo ed esclusivamente il benessere del singolo, ma ha un senso in vista del bene comune. Pio XI chiarisce quindi la funzione sociale della proprietà privata, posta alla base del bene della collettività. Dall’altra, la stessa enciclica delinea nuove prospettive, sicuramente in un tempo non maturo per concretizzarle, in merito al rapporto tra capitale e lavoro. Il primo momento chiama in causa il principio di sussidiarietà quale indicatore della convergenza del bene personale e quello comunitario. Una tale indicazione critica in modo inequivocabile qualsiasi eccesso di statalismo che impedisca lo sviluppo e il mantenimento di “minori ed inferiori comunità” (Q.A. n. 81) e, per usare ancora le parole di Pio XI, “L’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale; non già di distruggerle o di assorbirle” (Q.A. n. 80). Nel secondo momento emerge invece una nuova declinazione del contratto di lavoro nella quale l’operaio diventa un cointeressato nella proprietà o nell’amministrazione, in modo da compartecipare in una certa misura e forma ai “lucri percepiti” (Q. A. n. 67). È del tutto evidente, ieri, come purtroppo oggi, che una tale prospettiva ha immediatamente incontrato degli ostacoli: la concentrazione di enormi ricchezze in mano a pochissimi, la conseguente accumulazione di un potere enorme nelle stesse persone. Ciò non ha permesso a questo seme gettato neanche di diventare una piccola piantina. La strada però ormai era stata indicata, la prova della storia ne dimostrerà tutto il valore. Infatti là dove le scelte economiche si svincolano dal riferimento al valore e alla dignità della persona, siamo di fronte a drammi e problemi che si manifestavano puntualmente, è solo una questione di tempo. Mettere da parte questo “ancoraggio” porta l’uomo alla catastrofe e all’autodistruzione, oggi questa verità è sotto gli occhi di tutti. Ecco quindi l’altro grande contributo di Pio XI, a partire dalla strada aperta da Leone XIII, in campo sociale: ancorare il capitalismo alla persona e alla dignità umana, solo questa matrice può dar luogo a quella trasformazione delle economie più forti del mondo verso un futuro al riparo da problemi e difficoltà che subiscono sempre e solo i più deboli. In questa direzione ha un senso sostenere le forme di accessibilità alla proprietà privata di cui tratta la nostra stessa Carta Costituzionale (art. 42 e 47).

Argomentare in merito è interessante e impegnativo, per questo, in un momento successivo, anche tematicamente diverso, questo aspetto verrà ripreso dalla presente rubrica.