Chiesa di Rieti

Le imprese sociali all’Incontro Pastorale: «Occorre passare dall’avarizia alla lungimiranza»

Il primo stimolo all’assemblea radunata a Contigliano, nel secondo pomeriggio dei lavori dell’incontro pastorale, arriva dalla tavola rotonda che mette insieme quattro rappresentanti di attività in cui si esplica un diverso rapporto con l’economia. Realtà assai diverse, che partono dall’assunto che se ci si mette d’impegno diventa possibile un mondo migliore.

Il primo stimolo all’assemblea radunata a Contigliano, nel secondo pomeriggio dei lavori dell’incontro pastorale, arriva dalla tavola rotonda che mette insieme quattro rappresentanti di attività in cui si esplica un diverso rapporto con l’economia. Realtà assai diverse, che partono dall’assunto che se ci si mette d’impegno diventa possibile un mondo migliore, in cui «passare dall’avarizia dell’io alla lungimiranza del noi, dalla frantumazione della comunione alla comunione», che poi è «l’unica strada possibile per rispondere al comune desiderio di felicità», dice il giornalista chiamato dal vescovo Domenico a fare da moderatore: Paolo Ruffini, passato dal dirigere l’emittente cattolica Tv 2000 a guidare, quale nuovo prefetto scelto da papa Francesco, il Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede.

«Se il paradigma della nostra economia non è basato sulla comunione, tutto si riduce a un’aritmetica i cui conti non tornano più», dice chiaramente Ruffini, che invita a presentare le esperienze che possono offrire esempi di come si possa lavorare in una visione economica diversa, attenta all’uomo e alla terra.

La prima a parlare è Laura Ciacci, a nome di Campagna sociale Sabina, cooperativa nata con un gruppo di 15 persone, «fondamentalmente attivisti Slow Food, per una iniziativa di valorizzazione dei prodotti del paniere locale», racconta, facendo notare come «la provincia di Rieti ha 126 prodotti locali, nemmeno li conosciamo tutti».

Ed è nata così l’attività di distribuzione dei prodotti, a prezzo giusto perché «i produttori sono importanti e i prodotti vanno pagati per quel che valgono», ma anche con una logica non esclusivamente di guadagno, perché «non tutto ciò che possiamo creare per sostenere un’attività che si sostenga deve essere monetizzato». La cooperativa sociale punta a valorizzare gastronomia, turismo e cultura come le ricchezze del territorio. E il locale creato in città, in via della Verdura, quel “Le Tre Porte” che in questo anno ha ospitato anche incontri mensili di lectio biblica condotti dall’ufficio diocesano evangelizzazione e catechesi, vuol essere non solo punto vendita di eccellenze alimentari del territorio reatino, non solo bar, ristorante e panineria, ma anche «una casa dove le persone soprattutto si incontrano». Esperienza, naturalmente, aperta a tutti e pronta a unirsi «in rete con tutti coloro che la vogliono fare».

Quella voglia di fare che ha ispirato anche Miguel Acebes e gli altri dell’azienda agricola Tularù: nome un po’ strano ma, spiega il giovane di origini miste, un po’ spagnole un po’ italiane, era la parola con cui la nonna li chiamava quando era ora di pranzo negli anni in cui si trovava nella fattoria di Ponzano, tra Grotti e Cittaducale, che ora è la sede dell’azienda e dell’agriturismo gestito da questa impresa agricola che vuole recuperare quei ritmi e sapori di quegli anni della sua infanzia che ha avuto la fortuna di vivere, gli ultimi momenti della vita di campagna di una volta, «prima della meccanizzazione spinta e dell’abbandono delle terre».

Uno dei punti cardini di Tularù è riprender la filosofia di una volta, quando «il produrre cibo era anche un collante di comunità per il territorio». Nella terra di Strampelli, si coltiva il grano del tipo Rieti e del tipo Terminillo selezionato dal grande genetista. Ma il grosso del terreno della fattoria ereditata dai nonni si dedica al pascolo, «il tipo di produzione agricola meno invasivo», con animali che mangiano solo erba di prato e fieno. Carne e grano, vendita di prodotti a chilometri zero, agriturismo con gastronomia e ricezione, ma anche eventi, come la festa della trebbiatura. «Non manca la fatica, ma è molto bello far crescere i nostri figli in questo contesto, speranza per il futuro».

Quindi, tocca a Fabio Porfiri, direttore di Promise, nuova esperienza appena nata (battezzata a giugno) per servizi nel cratere sismico, anche in simbiosi con la diocesi. Attività in fase di lancio, ma con tanta voglia di fare: «La forza di questa nostra impresa non sono né i soci né i consiglieri di amministrazione, ma gli operatori. Il cuore che batte è il cuore di 13 persone, alcune di Rieti, altre del territorio del cratere che lì lavoreranno».

Infine, un’attività direttamente diocesana come quella che la Caritas reatina porta avanti con il progetto Sprar, il Sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati che l’ente caritativo ecclesiale gestisce in loco quale attuatore dell’apposito bando del Comune di Rieti. Un progetto numericamente piccolo, che permette di gestire dei rifugiati «non solo la prima accoglienza ma seguire i percorsi di integrazione. Una rete che cerchiamo sempre più di implementare, in collaborazione con aziende, per percorsi di formazione soprattutto in ambito agricolo, un po’ perché è il settore del nostro territorio, ma anche perché loro sono interessati nell’acquisire una formazione in vista del loro sogno di tornare nel paese di origine, a coltivare le loro terre africane».

Antonella Liorni presenta anche due progetti della Caritas internazionale e quella italiana: la campagna “Share the journey” che a livello mondiale propone occasioni di incontro tra cittadinanza e rifugiati. E poi il progetto di Caritas italiana dei corridoi umanitari e “rifugiato a casa mia”, che organizza l’arrivo legale e in sicurezza dei rifugiati «al fine di evitare il traffico di esseri umani e morti in mare», organizzando un campo profughi in Etiopia provenienti da Eritrea, Somalia e Sud Sudan, dove un’équipe seleziona le persone e ne organizza il viaggio in Italia con i documenti, smistate in piccoli numeri nelle diocesi». Un’ottima occasione di fraternità per le parrocchie italiane, dove rifugiati vengono accolti in parrocchia o in appartamenti, ma «molto importante è il coinvolgimento della comunità parrocchiale, con una o più famiglie che si mettano a disposizione come tutor per accompagnare questi rifugiati nell’inserimento».