L’arte del recupero

La struttura della Caritas diocesana di Rieti dispone di una sua “galleria” tutta particolare. È Recuperandia, uno spazio a metà tra convenienza, carità e coscienza sociale.

Ce lo siamo fatto raccontare da Rossana, Cinthia e Federica, le volontarie della Caritas che insieme gestiscono questa piccola “fiera delle occasioni”.

Come funziona Recuperandia?

Bene! (Sorridono). Recuperandia è la soluzione che Caritas ha escogitato per fare reciclo e riuso in modo solidale. In pratica i cittadini hanno la possibilità di donarci oggetti che ormai a loro non servono più, ma che possono tornare utili ad altri. Il nostro compito è di rimetterli in piena efficienza e dare loro un nuovo “mercato”.

Chi sono i “clienti” di Recuperandia?

Come vedi i nostri spazi sono aperti a tutti. Va da sé che inizialmente la Caritas puntava ad andare incontro a quelli che non hanno mezzi sufficienti per procurarsi ciò che gli occorre tramite i canali convenzionali. Ma oggi non manchiamo di essere frequentati da curiosi e intenditori che vanno in cerca dell’oggetto particolare o raro. Del resto la nostra offerta è piuttosto ampia. È vero che per lo più trattiamo mobili e vestiti, ma non mancano i televisori, gli elettrodomestici, i libri, gli accessori di elettronica…

E i prezzi?

Gli oggetti vengono messi a disposizione ad offerta. Ovviamente laddove c’è stato un significativo intervento di recupero da parte dei nostri laboratori suggeriamo una offerta minima.

E il ricavato di Recuperandia dove va?

Viene utilizzato per finanziare le attività della Caritas, affiancandosi in questo all’otto per mille e alle donazioni che spontaneamente fanno i cittadini.

Dall’ossevatorio di Recuperandia qual è il polso del disagio e della povertà?

Abbiamo un cosistente afflusso di persone e questa è già una misura. La nostra utenza, prima composta da una maggioranza di stranieri, oggi conta un buon numero di reatini, e di certo non sono tutti antiquari in cerca del pezzo particolare. Questo cambiamento contiene però anche qualcosa di buono. Non è che tutti siano poverissimi. A noi sembra che si stia facendo avanti anche una sorta di buon senso. Sarà anche l’aria della crisi, ma non sono pochi quelli che iniziano a rifiutare un consumismo ottuso e a riconoscere il valore di oggetti usati, ma ancora pienamente utili e servibili. Da questo punto di vista la Caritas sta proponendo anche un recupero di valori.

Nel negozio si vedono molti mobili. Chi provvede a portarli qui?

Noi! I nostri volontari si recano spesso a liberare le case da oggetti ingombranti. Grazie al nostro impegno tanti ingombranti evitano di intassare le discariche. Purtroppo non sempre quest’opera incontra il favore di qualche condomino, ma abbiamo imparato a fare buon viso a cattivo gioco.

Vi siete tolte un sassolino dalla scarpa!

Sì, ma in fondo non è importante. Ciò che conta è che la città risponde sempre meglio al nostro stimolo. Si inizia a vedere qualcosa che va anche oltre l’orizzonte “commerciale”. Sono tante le persone che cominciano a frequentarci indipendentemente dai bisogni. Siamo diventati una piccola piazza dove si creano anche nuove amicizie. Una piccola società che si relaziona a partire da una microeconomia del dono che poco a poco riesce a diventare cultura.

La cura delle cose diventa anche cura delle persone?

Proprio così. È spiacevole quando tra le cose che arrivano alla Caritas troviamo oggetti assolutamente inservibili, vestiti stracciati e panni sporchi. Vuol dire che chi li dà pensa che i poveri sono dotati di una dignità minore, che sono una specie di discarica alternativa, che verso di loro non sia necessario troppo rispetto. Con il nostro negozio testimoniamo il contrario: la dignità e l’appropriatezza delle cose e di chi le usa, anche se entrambi sono “poveri”.