L’Aquila si sente tradita dai “suoi”

Risuonano come un monito, in queste ore, le parole dell’arcivescovo Giuseppe Petrocchi al momento della sua nomina a pastore della Chiesa abruzzese: “Sulle nostre comunità dovranno sempre sventolare alte, e rispettate da tutti, le bandiere della giustizia e della legalità” . Come tenere lontani la malavita e i professionisti della truffa dai cantieri della ricostruzione.

Fiducia totale in chi vigila su quello che dovrebbe essere il cantiere più grande d’Europa e che stenta a diventare tale. Chi vigila è la magistratura che, con le forze dell’ordine, sta lavorando non poco, per far sì che il grande cantiere aquilano rimanga il più possibile limpido nonostante innumerevoli, prevedibili, tentativi d’inquinamento. Tentativi della malavita italiana, tentativi di qualche imprenditore senza coscienza. Delinquenti di tutta Italia, insomma, attratti dall’odore della ricostruzione aquilana.

Odore forte di soldi e di potere. Odore potenzialmente cattivo, dunque, soprattutto quando arriva alle narici dei professionisti della truffa. È doveroso ribadire, oggi che si ha avuto notizia delle perquisizioni e degli arresti, tra gli altri, del vicesindaco e di un ex assessore del Comune del capoluogo abruzzese, una cosa nota ma mai scontata: nessuno è colpevole finché non verrà condannato dal Tribunale. Il solo sospetto, però, che l’odore della ricostruzione possa aver fatto gola anche a qualche aquilano, questo sì che potrebbe essere un altro terremoto!

Come è possibile, oggi che il dolore è ancora vivo in tutti, pensare anche lontanamente di speculare sulla ricostruzione? Un errore nei tanti grovigli della ricostruzione sarebbe pure comprensibile, ma la corruzione proprio no! Eppure noi aquilani lo sappiamo bene, infatti, che qualsiasi cantiere non è un semplice cantiere.

Per noi ogni cantiere è un vero e proprio sacrario. E non è affatto retorica paragonare L’Aquila a un sacrario. Ogni pietra, ogni metro cubo di cemento abbattuto o ricostruito, parla della vita di tanti cittadini che, forse inconsapevolmente, hanno dato la vita per il nostro Paese. Un Paese, l’Italia, che anche grazie alle vittime aquilane dovrebbe imparare che costruire bene vuol dire difendere i propri cittadini; rispettare le leggi significa essere più civili. Chi potrebbe mai rispettare la sacralità del nostro “ grande cantiere” se non siamo noi i primi a farlo?

Dunque oggi, a poche ore dalla bufera giudiziaria che si è abbattuta su alcuni aquilani, la città sembra rivivere il dolore causato dalle scosse di quel 6 aprile di 5 anni fa. Dolore da parte di quegli aquilani buoni, e sono tanti, ammirati da tutto il mondo per la loro dignità all’indomani del sisma, che vedono affievolire la speranza della rinascita della loro città. E per tutto questo altri ancora, soprattutto giovani, potrebbero scegliere, come tanti, un’altra città dove costruire un futuro; costretti da troppe difficoltà ad abbandonare L’Aquila.

Sì, come ha detto il sindaco Cialente, il sentimento prevalente, se tutto fosse confermato, è quello del tradimento. Gli aquilani, quelli dalla grande dignità, si sentono davvero traditi. Sembra quasi profetico, allora, l’invito forte e deciso che il neo-arcivescovo Giuseppe Petrocchi rivolse agli aquilani al momento della sua nomina a pastore della Chiesa del capoluogo abruzzese: “Sulle nostre comunità dovranno sempre sventolare alte, e rispettate da tutti, le bandiere della giustizia e della legalità” .

È l’unica strada, quella tracciata dell’arcivescovo, per far tornare a credere agli aquilani e a tutti gli italiani che con i soldi pubblici stanno investendo sull’Aquila, che vale la pena ancora sperare nella rinascita della bella Aquila e impiegare futuro e risorse per questo. E speriamo che i primi a far questo siano proprio gli stessi aquilani perché, come affermava sempre l’arcivescovo Petrocchi, “dopo Dio e i Santi Patroni, gli alleati più stretti degli aquilani dovranno essere proprio gli aquilani”.