L’Aquila: dopo il terremoto… più famiglia e vita di comunità

La parola ai parroci che hanno costituito sin dalle prime ore successive al sisma un punto di riferimento sicuro e affidabile. Anche se si continua a celebrare in una tenda, come fa don Ramon Mangili a San Giovanni Battista di Pile. O si opera in un quartiere dormitorio come Pettino, dove don Dante Di Nardo ora vede i parrocchiani tornare con la “voglia di stare insieme, di fare vita sociale”.

La vita dell’Aquila riparte dalla periferia. Nei quartieri nati nella seconda metà del Novecento è stato più facile avviare l’opera di ricostruzione e più di metà degli abitanti ha già fatto ritorno a casa. In periferia sono pure sorte le tendopoli, i Map (moduli abitativi provvisori) e gli alloggi del progetto “Case”, con un tessuto sociale che si è improvvisamente scompaginato e modificato, all’insegna della precarietà. Significativa, in queste zone, l’opera delle parrocchie, con sacerdoti che hanno costituito il punto di riferimento per comunità duramente provate.

A Pile si celebra in tenda.

“Prima del terremoto in questo quartiere eravamo in 6mila abitanti, ora siamo in 10mila”. A parlare al Sir è don Ramon Mangili, parroco a San Giovanni Battista di Pile. A duecento metri dall’area della parrocchia vi sono le abitazioni del progetto “Case”, “un migliaio di persone provenienti dai quartieri limitrofi” che, in parte, vanno ad aggiungersi al gregge di don Ramon. La parrocchia conta numerosi volontari e svariate attività; eppure “pur essendo il quartiere più popoloso dell’Aquila – lamenta il sacerdote – è l’unico senza chiesa”. Difatti, a cinque anni dal terremoto, il solo luogo per celebrare l’eucaristia è la tenda che venne donata dal Comune di Roma, con costi folli per il riscaldamento – “due anni fa abbiamo speso 13mila euro per l’inverno” – e l’elettricità – 1.765 euro riporta l’ultima bolletta, relativa a un solo mese -. La necessità di una chiesa, a dir la verità, si sentiva già prima del 6 aprile 2009, ma ora è un’esigenza cogente. Certo, tra qualche anno saranno terminati i lavori di ripristino della chiesa parrocchiale, dedicata a sant’Antonio abate, ma è troppo piccola per accogliere tutti i parrocchiani. Nel frattempo, e forse anche dopo, rimane solo la tenda.

Dalla catechesi alla carità.

A Pile, dove c’era pure la base di un campo Caritas, la vita parrocchiale non si è mai interrotta. “Avevamo 5 tendopoli, con oltre 6mila ospiti, e ogni giorno celebravamo la Messa in tutti i campi, mentre una settimana dopo il terremoto riprese la scuola sotto le tende”, racconta il parroco. E ora? Nonostante la tenda che fa da chiesa e i container che ospitano le diverse attività parrocchiali, “la parrocchia è viva e bella”, il sabato pomeriggio quasi 150 bambini vanno a fare catechismo, c’è un coro di adulti e uno di ragazzi, un gruppo teatrale, uno liturgico, uno culturale e altri ancora. Due volte al mese, la domenica, vengono organizzate attività per gli anziani, perché “spesso ci si preoccupa per i giovani, ma quasi mai per gli anziani”. C’è anche una “protezione civile parrocchiale”, mentre è particolarmente attiva la Caritas. “Pur con risorse limitate, assistiamo 73 famiglie, quasi tutte aquilane”, spiega don Ramon, evidenziando come si stia “creando una rete significativa a livello sociale, che non si ferma solo a Pile”. Per far fronte alle esigenze della popolazione ha aperto pure, in parrocchia, uno sportello di aiuto psicologico, mentre dal 23 dicembre è attiva ogni sera una mensa – l’unica in tutta la città – per dare un pasto caldo a chi ne ha bisogno.

C’è voglia di stare insieme.

San Francesco d’Assisi, nel quartiere di Pettino, è invece l’unica chiesa che ha retto alle scosse del 6 aprile: dopo il sisma i suoi locali vennero utilizzati come magazzino, base operativa, luogo per l’accoglienza dei volontari… “La parrocchia ha fatto da punto di riferimento per le esigenze della zona”, ricorda don Dante Di Nardo, che la guida dal 2007. Questo “quartiere dormitorio”, che contava oltre 10mila abitanti, “dopo il terremoto si è totalmente spopolato”: non c’erano tendopoli e solo poche case avevano danni lievi. In questi cinque anni, però, la ricostruzione ha marciato e ora “metà dei parrocchiani è ritornata”. “Fino ad ora si è camminato, speriamo che non ci si fermi”, auspica il parroco facendo riferimento a quelle voci che lamentano come stiano venendo a mancare i fondi. Nonostante non avesse quasi più abitanti, fino allo scorso anno la parrocchia ha preparato tanti bambini e ragazzi ai sacramenti, provenienti da ogni parte. Ora, invece, cerca di tornare alla normalità, anche se tanti parrocchiani vengono da lontano perché sono ancora in “sistemazioni provvisorie”. Dopo il terremoto, riflette il sacerdote, si è creata un’ambivalenza: da una parte “c’è la necessità di riacquisire il senso e la dimensione del nucleo familiare”, mentre dall’altra “c’è più voglia di stare insieme, di fare vita sociale”. In parrocchia lo si sperimenta bene: il venerdì pomeriggio, oltre all’oratorio per i più giovani, ci sono gruppi di giovani e adulti che s’incontrano per fare diverse attività, poi si fermano tutti a cena e dopo si dividono per le varie attività di catechesi. Tutti nei locali parrocchiali, in quello che è forse l’unico punto di aggregazione di una città che a fatica sta cercando di rinascere.