Le parole del Papa

L’appello del Papa per il Myanmar: torni la pace

Al termine dell'Angelus si unisce all'appello dei vescovi del Paese asiatico che si trova ad un passo dalla carestia. Francesco: certe volte pregare è gridare a Dio

Il Signore è lì, presente, infatti, attende – per così dire – che siamo noi a coinvolgerlo, a invocarlo, a metterlo al centro di quello che viviamo. Il suo sonno provoca noi a svegliarci. Perché, per essere discepoli di Gesù, non basta credere che Dio c’è, che esiste, ma bisogna mettersi in gioco con Lui, bisogna anche alzare la voce con Lui, gridare a Lui; sentite questo: bisogna gridare a Lui. La preghiera, tante volte, è un grido: “Signore, salvami!”.

Francesco elenca le situazioni nelle quali rischiamo di affondare come quando riponiamo speranze in qualcosa che svanisce, in preda all’ansia, quando i problemi ci sommergono oppure “nei momenti in cui viene meno la forza di andare avanti, perché manca il lavoro oppure una diagnosi inaspettata ci fa temere per la salute nostra o di una persona cara”. Anche lì Gesù c’è.

In queste situazioni e in tante altre, anche noi ci sentiamo soffocare dalla paura e, come i discepoli, rischiamo di perdere di vista la cosa più importante. Sulla barca, infatti, anche se dorme, Gesù c’è, e condivide con i suoi tutto quello che sta succedendo. Il suo sonno, se da una parte ci stupisce, dall’altra ci mette alla prova.

Pensando ai “venti” che si abbattono nella nostra vita, possiamo consegnare a Gesù il nostro tormento. “Raccontiamogli tutto”: è l’indicazione del Papa perché “egli lo desidera, vuole che ci aggrappiamo a Lui per trovare riparo contro le onde anomale della vita”. L’invito è di seguire i discepoli che lo svegliarono, in quel gesto c’è “l’inizio della nostra fede: riconoscere che da soli non siamo in grado di stare a galla, che abbiamo bisogno di Gesù come i marinai delle stelle per trovare la rotta”. La fede comincia dal credere che non bastiamo a noi stessi, dal sentirci bisognosi di Dio. Quando vinciamo la tentazione di rinchiuderci in noi stessi, quando superiamo la falsa religiosità che non vuole scomodare Dio, quando gridiamo a Lui, Egli può operare in noi meraviglie. È la forza mite e straordinaria della preghiera, che opera miracoli.

Il passaggio è dunque dalla paura alla fede, all’affidamento, al distogliere lo sguardo dalle onde che travolgono per spingersi oltre, guardando Gesù. Quante volte restiamo a fissare i problemi anziché andare dal Signore e gettare in Lui i nostri affanni! Quante volte lasciamo il Signore in un angolo, in fondo alla barca della vita, per svegliarlo solo nel momento del bisogno! Chiediamo oggi la grazia di una fede che non si stanca di cercare il Signore, di bussare alla porta del suo Cuore.

Al termine della preghiera mariana, Francesco ha unito la sua voce a quella dei vescovi del Myanmar, interpreti del grido di dolore di una popolazione provata anche dalla fame. “Che il cuore di Cristo – ha affermato – tocchi il cuore di tutti, portando pace nel Myanmar“.

Poi il pensiero è andato alla Giornata mondiale del Rifugiato, promossa dalle Nazioni Unite, il Papa ha invitato a guardare a chi scappa da guerre e violenze e alla “loro coraggiosa resilienza” per far crescere “una comunità più umana”. Infine il saluto ai fedeli e in particolare all’Associazione Guide e Scout cattolici italiani; la delegazione di Madri insegnanti nelle scuole italiane; i giovani del Centro “Padre nostro” di Palermo, fondato dal beato don Puglisi.

da avvenire.it