Land grabbing: in Camerun contadini e habitat naturali minacciati dall’olio di palma

In Camerun, uno dei Paesi africani più esposti all’accaparramento di terre, una vicenda esemplare è la tensione tra le comunità locali della provincia Sud-occidentale e una multinazionale statunitense che vuole abbattere migliaia di ettari di foresta pluviale per creare una piantagione di palme da olio. A fine novembre scade il contratto di affitto dei terreni: un ricorso di 244 agricoltori e una petizione internazionale chiede al governo camerunese di fermare il progetto

Il Camerun è uno dei Paesi africani più esposti al land grabbing, ossia l’accaparramento di terre da parte di multinazionali agroindustriali e governi stranieri e locali. Secondo una ricerca di Right and resources initiatives 10 dei 22 milioni di ettari di foreste camerunesi sono già state assegnate per lo sfruttamento minerario o agricolo. Più di 1 milione sono state destinate a monocolture, anche per la crescente richiesta di olio di palma nelle società occidentali. Una delle vicende più gravi – si attendono sviluppi entro fine novembre – è il ricorso di 244 agricoltori contro un enorme progetto per una piantagione di 20mila ettari di palme da olio nella provincia Sud-occidentale, intrapreso nel 2009 dalla società Sgsoc (Sithe global sustainable oil Cameroon), inizialmente di proprietà della multinazionale statunitense Herakles Farms. Questo provocherebbe l’abbattimento di lotti di foresta pluviale, mettendo a rischio l’habitat naturale di molte specie animali  – tra cui elefanti, scimpanzé, babbuini e altre scimmie rare – ma soprattutto creando tensioni nelle comunità locali, migliaia di contadini che da secoli vivevano in armonia con la terra. La concessione per l’affitto delle terre scade il 25 novembre. Entro quella data il governo dovrebbe prendere una decisione per il futuro delle sue foreste e dell’ecosistema dell’intera area, che confina con il parco nazionale di Korup. Gli ecologisti hanno già avviato una campagna internazionale a sostegno della lotta dei contadini che vivono nei villaggi locali. La petizione  chiede alle autorità di non rinnovare la licenza, mentre un video documenta, con testimonianze raccolte in loco, quanto sta accadendo. Tutti sperano che il governo camerunese fermi il progetto.

Illegalità, abusi e bugie. Fin dall’inizio il progetto è stato associato a illegalità, abusi e bugie nei confronti degli agricoltori. Come ogni iniziativa economica che promette di portare sviluppo laddove si vogliono sfruttare le risorse naturali, anche qui

molti abitanti avevano ceduto i loro appezzamenti di terreno in cambio di infrastrutture come scuole, strade, ospedali, elettricità. Niente di tutto ciò è stato realizzato in questi anni.

Alcuni contadini che hanno lavorato per la compagnia non hanno nemmeno percepito il salario. Inoltre molti alberi sono stati tagliati senza le necessarie autorizzazioni governative. Tutto ciò senza che le comunità locali venissero coinvolte nei processi consultivi e decisionali.


Le denunce di attivisti e Chiese.
Nei villaggi di Babensi e di Nguti, ad esempio, “gli agricoltori temono che il progetto distruggerà le loro coltivazioni”, ha denunciato un’attivista di Greenpeace Africa,  Sylvie Diacbou Deugou. Per mostrare la loro determinazione 244 piccoli agricoltori hanno presentato due ricorsi alla Corte di prima istanza di Bangem. Secondo Greenpeace potrebbe essere “un primo passo per riportare giustizia tra queste comunità”. “Come camerunesi e africani abbiamo la responsabilità di proteggere le nostre risorse – ha affermato -, per fare in modo che il nostro patrimonio non sia distrutto o rubato”. Anche le Chiese dell’Africa occidentale (Acerac) l’organismo presieduto da monsignor Samuel Kleda, arcivescovo di Douala e presidente della Conferenza episcopale del Camerun, tramite le rispettive Commissioni Giustizia e pace, denunciano da tempo la problematica del land grabbing:

“Lo sfruttamento anarchico delle risorse naturali, l’accaparramento di terre, costituiscono una delle sfide maggiori” per le comunità cristiane in Africa.