La Siria post-Ginevra

Dai tre giorni di colloqui a Ginevra tra le due superpotenze nucleari, rappresentate al tavolo da Kerry e Lavrov, è scaturito un accordo che lascia sperare nello sventato pericolo di conflitto tra grandi. La Siria si è impegnata a distruggere tutto il suo arsenale chimico entro Giugno 2014 sotto la supervisione di ispettori ONU.

Quasi contemporaneamente all’interiorizzazione della notizia Assad, parlando dell’accordo ai media russi, lo descriveva come “una vittoria contro gli americani” ed il Presidente del Consiglio superiore militare dell’opposizione siriana ha informato l’occidente del fatto che il regime sta spostando il suo arsenale in Iraq e Libano.

Riusciranno gli ispettori del palazzo di vetro a sorvegliare la distruzione di armi non dichiarate (sia dal regime che dai ribelli), di cui non si conosce precisamente la quantità, sotto i colpi di una guerra civile che non intende cessare quando, inoltre, sembra manchi l’intenzione di andare fino in fondo?

La risposta che Putin, Obama e gli altri già sanno è un secco no! L’accordo raggiunto a Ginevra, non definitivo e fragile, è molto più politico che tecnico. Il topic riguarda principalmente l’intenzione politica di USA e Russia di scongiurare l’avvio di una guerra che ha le potenzialità di tramutarsi da conflitto regionale a mondiale seguendo un’escalation rapida e dalla quale nessun Paese coinvolto potrà tirarsi indietro. Lo sanno bene gli ufficiali delle navi da guerra americane, russe, britanniche, cinesi e francesi stanziate al largo delle coste libanesi dove è presente anche il cacciatorpediniere lanciamissili italiano Andre Doria (D553) incaricato di difendere i nostri soldati UNIFIL in caso di allargamento del conflitto.

La definizione “intervento limitato” di Kerry perde di significato se non si considera che Turchia, Israele, Arabia Saudita, Qatar, Iran e Libano sono come molle pronte a scattare al primo sparo. Gli interessi politico-economici in ballo sono così importanti che Washington e Mosca hanno deciso sia meglio plasmare a loro piacimento la situazione prima che la crisi gli sfugga di mano. Le due superpotenze si sono anche dichiarate disposte a guidare le rispettive parti (protette) in guerra tra loro verso futuri negoziati di pace da tenersi sotto l’egida di una conferenza internazionale.

Dato il fatto che i conflitti mediorientali non sono famosi per cessare con la firma di un trattato, fotografi e strette di mano, ma di solito si protraggono anche oltre lo sfinimento delle parti con o senza l’ingerenza di terzi, è chiara l’intenzione di trattenere l’incendio entro i confini siriani evitando che scintille impazzite oltrepassino i confini ed appicchino fuoco a tutta la regione. Se la temperatura è calata di mezzo grado Obama deve ringraziare il suo antagonista Putin uscito da Ginevra quasi come “uomo di pace” (appellativo che stona per un ex agente e dirigente del KGB).

Il presidente americano ha esagerato con le parole dall’inizio del conflitto siriano, minacciando in mondovisione contromisure che gli USA non sono effettivamente capaci di porre in essere senza alleati forti al fianco ed un’opinione pubblica interna ostile. Peccando di gaullisme gli USA hanno pensato di avere i numeri giusti per poter svolgere il lavoro tutto da soli, ma non avevano fatto ancora i conti con il ritorno dell’Evil Empire.