La sinistra al tempo di Petrangeli

Dialogo con il Sindaco a metà mandato. La versione integrale dell’intervista sarà disponibile nel n. 7 del settimanale «Frontiera».

Sindaco Petrangeli, siamo giunti a metà consiliatura. L’azione amministrativa non ha mancato di conoscere vari inciampi e difficoltà. Pensavi che sarebbe stato così difficile governare la città?
In questa misura no. Purtroppo è tutto raddoppiato dal fatto che fino a poco tempo fa il Comune non esisteva dal punto di vista amministrativo, organizzativo, burocratico. C’era una mancanza di abitudine a lavorare come un ente. Alle difficoltà di bilancio si somma quella di non avere avuto una macchina funzionale.

Ma provenendo dall’opposizione non sapevi di trovare un comune inefficiente?
No, finché non si arriva nel ruolo di governo è difficile capirlo. Stare in Comune 18 ore al giorno è un’altra cosa. Anche il rapporto con gli uffici e i dirigenti dall’opposizione è più debole: si fa più un ragionamento politico che non amministrativo. Solo quando governi ti rendi conto anche di come “non funzionano” le cose.

La scadenza del tuo mandato da sindaco avviene in coincidenza con il cento anni della Rivoluzione d’Ottobre. Ti senti ancora uomo di sinistra?
Assolutamente sì, perché no?

Perché magari, anche se per ripiego, il Comune ha dovuto adottare politiche di tipo liberista o addirittura neoliberista…
Beh, non è che il Comune faccia la politica economica. Il Comune ha delle risorse e le deve gestire nel miglior modo possibile. Ha una leva fiscale, ma non fa politica economica. Rispetto ai servizi, io propugno la gestione diretta, ma la puoi fare se hai dipendenti pubblici. Non potendo più assumere e con il blocco del turn over, tante cose che oggi ancora si riescono a fare in economia sono destinate all’affido esterno. Ma è una condizione che subiamo.

Ma se i margini di manovra sono così stretti, che differenza fa essere un sindaco di sinistra o di un altro orientamento?
Già il modo di concepire la funzione che si svolge in Comune è differente. E poi dalle politiche concrete: un conto è l’assistenzialismo, altra cosa il passaggio a politiche pro-attive, che richiedono anche l’impegno dell’utente. Ma è chiaro che se il bilancio è 100, oggi la discrezionalità è ridotta a 20. È tutto bloccato tra stipendi dei dipendenti, mutui, debiti ereditati, spese fisse. Rimane poco da decidere. Ma questo è un tema di carattere generale. Dipende più che altro dalle politiche portate avanti a livello governativo.

Talvolta si ha l’impressione che dai vertici si spinga per una gestione più tecnica che politica della cosa pubblica. 
Mah, di sicuro assistiamo ad un vero e proprio conflitto tra l’alto e il basso, tra il governo centrale e i territori. Negli ultimi anni i Comuni hanno fatto gli esattori per lo Stato e, pur essendo gli enti più vicini ai cittadini, sono stati costretti a portare avanti politiche di diminuzione della spesa pubblica.

Oltre che tra l’alto e il basso sembra esserci un conflitto anche tra il centro e le periferie…
Sì, e ne va anche della qualità della democrazia del nostro Paese. Non si può pensare che tutte le scelte si facciano nelle poche aree metropolitane lasciando indietro tutto il resto. Io ho la sensazione che stiamo andando verso un tempo nel quale ci sarà ancora una maggiore sperequazione territoriale. Oltre alla sperequazione sociale, che sta incrementando la differenza tra ricchi e poveri. È una situazione che deriva dalle scelte dei governi degli ultimi 25 anni, ma dipende anche dal clima che si respira in Europa. L’onda montante contro le politiche di austerità imposte dalla Troika è anche la richiesta di respiro delle comunità locali, che devono avere le risorse per poter dare servizi ai cittadini.

Ma se le piccole cose che avvengono in una città sono condizionate anche dalle scelte che vengono da Roma o Bruxelles, cosa può fare un sindaco?
Oggi l’impegno è quello di restituire alla città un’amministrazione comunale nella quale poter riporre fiducia. Bisogna fare del Comune un’istituzione utile ai cittadini anche se subiamo le conseguenze di un ventennio di scelte sbagliate: da parte delle precedenti amministrazioni, ma anche a livello nazionale. In parallelo alle Province, anche i Comuni si ritrovano con maggiori competenze senza avere maggiori risorse, anzi, con la prospettiva di poter contare solo sulla propria leva fiscale.

A questo si aggiunge la crisi generale…
Sì, di fronte ad una crisi profonda, spesso i cittadini non hanno risorse per pagare i tributi locali. Lo abbiamo visto con l’aumento del numero di quelli che non riescono a pagare in tempo la tassa sui rifiuti. Sono tante le circostanze che sommandosi nello stesso momento mettono i sindaci in una posizione molto scomoda.

Ma sono frutto del caso o sono piuttosto il prodotto del mutare dei rapporti di forza nella società?
Non c’è dubbio che l’evoluzione del capitalismo ne abbia determinato la supremazia rispetto ad un sistema economico alternativo. Come dice Marco Revelli: «la lotta di classe esiste, ma l’hanno vinta i ricchi». Ormai è risaputo che una percentuale minima di persone detiene il 70% delle ricchezze globali. Una tale sperequazione tra ricchi e poveri non c’era mai stata. Come non c’era mai stato il fenomeno del “lavoratore povero”. I nuovi poveri sono i lavoratori, le famiglie monoreddito, i padri separati; sono quelli che pur lavorando si trovano in una condizione di disagio.

Come risponde il Comune al padre separato o al lavoratore povero? La Costituzione parla della progressività delle imposte. Ma oggi le aliquote Comunali stanno quasi tutte al massimo…
Da amministratori ci poniamo il problema di praticare scelte che debbono anche contrastare la crisi. Sicuramente ci sono da proporre politiche sociali più adeguate ai problemi. Il Comune di Rieti è impegnato, grazie al lavoro egregio dell’assessore Mariantoni, in una serie di iniziative in grado di andare a cogliere quali sono le vere emergenze del tessuto sociale. Ma un Comune non può attestarsi solo come ente erogatore di servizi. È anche necessario che il Comune diventi promotore dello sviluppo economico e sia il capofila di un progetto di economia locale. Anche questo lo stiamo facendo.

L’accoglienza dei lavori del Plus da parte della cittadinanza è spesso critica. Si contesta di aver messo mano ad una zona in buono stato quando nel resto della città gli operai del Comune tappano le buche come possono…
Beh, innanzitutto bisogna distinguere la spesa corrente e gli investimenti. La chiusura delle buche va ascritta alla spesa corrente, rifare una piazza o fare l’ascensore per migliorare anche l’estetica è una spesa d’investimento: si utilizzano canali di finanziamento diversi. Quello del Plus è europeo, transita dalla Regione Lazio e noi l’abbiamo ereditato: i soldi che stiamo spendendo sulle piazze non si potrebbero spendere altrimenti. Ciò detto io credo che gli investimenti che si stanno facendo sono molto importanti perché ci parlano della Rieti del futuro. Con questo non dimentico le centinaia di famiglie che vivono nei quartieri costruiti con la legge 167/61. Sembrano quartieri abusivi perché non ci sono servizi, illuminazione, in certi casi le fogne. Nei prossimi mesi inizierà un lavoro, grazie ai contributi della Regione, appaltato dall’Astral, per fare 300.000 euro di opere sulle strade; stiamo completando l’illuminazione di tutti i quartieri 167, e da qui alla fine dell’anno attrezzeremo anche le aree verdi. Per fare queste cose abbiamo dovuto sopperire alle nefandezze che sono state fatte nel passato. Questi cittadini hanno acquistato casa, hanno pagato gli oneri di urbanizzazione al Comune, ma il Comune con quei soldi ha fatto altro.