La rivincita delle storie vere

Il caso de “La teoria del tutto” che narra la vita del fisico Stephen Hawking

Se guardiamo alle pellicole presenti nei cinema italiani in questi giorni salta subito agli occhi una caratteristica: la maggior parte sono tratte da storie vere. “American sniper” di Clint Eastwood racconta la storia del cecchino più letale dell’esercito americano; “Big eys” di Tim Burton la vita della celebre coppia di pittori americani degli anni ’50, i Keane, famosi per i loro dipinti dei bambini con gli occhi giganti; “The imitation game” è la rievocazione della decrittazione del codice Enigma, il codice utilizzato dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale per passarsi informazioni, da parte del genio matematico Alan Turing; “La teoria del tutto”, la straordinaria vicenda umana del fisico Stephen Hawking, lo scienziato teorizzatore dei buchi neri, che è costretto su una sedia a rotelle da una malattia degenerativa; e a breve arriverà sugli schermi anche il film di Angelina Jolie, “Unbroken”, la storia di Louis Zamperini, atleta olimpico durante i giochi di Berlino, finito prigioniero in un campo di concentramento giapponese. Opere differenti, che però hanno in comune il fatto di ispirarsi a personaggi realmente esistiti e a prendere spunto dalle loro biografie e dai libri che le hanno raccontate. Cosa significa tutto questo? E’, come dicono i più critici, il segno di un’involuzione da parte di Hollywood, che non è più in grado di inventare storie e personaggi nuovi? Oppure è il segno che il pubblico sente sempre più spesso il bisogno di storie che siano esemplari, di vicende che possano portare un messaggio positivo? Perché si sa che spesso la realtà è più immaginaria e spettacolare della fantasia.

“La teoria del tutto” è un film che offre esattamente tutto questo. Siamo all’Università di Cambridge, nel 1963. Stephen è un promettente laureando in Fisica appassionato di cosmologia. Jane studia Lettere con specializzazione in Francese e Spagnolo. Si incontrano ad una festa scolastica ed è colpo di fulmine, nonché l’inizio di una storia d’amore destinata a durare nel tempo, ma anche a cambiare col tempo. Del resto il tempo è l’argomento preferito di Stephen, che di cognome fa Hawking, e lascerà il segno nella storia della scienza. In particolare, l’uomo persegue l’obiettivo scientifico di spiegare il mondo, arrivando ad elaborare la formula matematica che dia un senso complessivo a tutte le forze dell’universo: quella “teoria del tutto” che dà il titolo al film. La pellicola però non si concentra sull’aspetto accademico o intellettuale della vita di Hawking ma privilegia l’aspetto personale e l’evoluzione parallela di due forze dell’universo: l’amore per la moglie e i figli, e la malattia, quel disturbo neurologico che porterà al graduale decadimento dei muscoli dello scienziato e lo confinerà su una sedia a rotelle. La contrapposizione di vettori riguarda anche le convinzioni ideologiche di Stephen e Jane: lui crede solo alle verità dimostrabili, lei nutre una profonda fede in Dio. Anche se col tempo, grazie anche alle cure indefesse della moglie, Stephen aprirà uno spiraglio nel suo ateismo.

La pellicola è molto convenzionale nel racconto, ma è attraversata da una grande forza morale: quella che permette ai due protagonisti di affrontare, anche con il sorriso e l’ironia, le enormi difficoltà che la vita ha posto loro. In un panorama mondiale sempre più cupo e pessimista, questi personaggi sono un segno di speranza e un modello da seguire, offrendo uno sguardo ottimista e fiducioso nei confronti del mondo, delle prove che ci riserva e del Mistero che lo circonda.