Chiesa di Rieti

La preghiera che non si interrompe mai

Sono state tante le persone che hanno associato la situazione che stiamo vivendo al celebre romanzo manzoniano "I Promessi sposi": e non solo per la pestilenza, ma anche per altre analogie. Anche allora, la durata dell’epidemia fu molto più ampia della quarantena iniziale, l'attenzione per i poveri non venne meno e la preghiera non si interruppe mai

«Più di qualcuno mi ha confidato di aver riletto “I Promessi sposi” in queste settimane di pandemia», ha detto il vescovo dopo il rosario di ieri sera.

Un romanzo dove Manzoni al di là dell’intreccio degli sposi promessi laddove descrive la grande pestilenza di Milano, iniziata storicamente nell’estate del 1576 e protratta fino all’inizio del 1578.

«Perché ne parlo?», dice monsignor Pompili.

«Perché offre diversi spunti utili per interpretare il nostro tempo. Furono circa 17mila le persone a perdere la vita, la maggior parte delle quali erano poveri. San Carlo Borromeo, a motivo del suo talento organizzativo, fu quello che organizzò la città decretando la quarantena, prescrivendo la pulizia delle strade urbane e facendo in modo che gli affamati avessero di che mangiare. Ovviamente, cercò anche di dare una risposta religiosa all’emergenza. Quindi, predispose tre grandi processioni: migliaia di milanesi si avviarono insieme per le strade, recitando salmi penitenziali, e cantando le litanie. Le litanie, soprattutto, divennero popolari per essere canti semplici, ripetitivi, che spingono verso qualcosa, come un padre in piedi dietro di noi su un’altalena. Presto, però, ci si rese presto conto che il contagio poteva essere controllato solo a distanza. Ecco perché Borromeo sospese le processioni. Mandò la gente a casa e chiese di mettersi al riparo. Ma se le processioni si interruppero, per le litanie e per i canti non fu così. Per quasi un anno e mezzo, ogni tanto, a distanza di poche ore, a Milano risuonavano le campane delle chiese e la gente si affacciava alle finestre e alle porte. E cantava».

Un tempo che pare avere alcune assonanze con quello che stiamo vivendo. «Se ne ricavano almeno tre essenziali indicazioni», ha concluso il vescovo.

«La prima è che la durata dell’epidemia fu molto più ampia di quella che era stata la quarantena iniziale e che si dovette attraversare un periodo lungo con le necessarie misure di distanziamento sociale. La seconda è che la preghiera non s’interruppe mai, anche se non ebbe a lungo la possibilità di essere vissuta insieme, in modo comunitario. La terza è che l’attenzione ai più poveri non venne mai meno come del resto è necessario fare anche oggi poiché l’epidemia colpisce più forte chi ha meno».