La politica nuda

La politica ha scelto di reagire all’attuale crisi finanziaria ed economica spogliandosi di ogni senso, ragione, verità, storia.

La nudità della politica è la conseguenza del suo essersi posta volontariamente in una assoluta condizione di impotenza di fronte ad avvenimenti di grandi dimensioni, nati e derivati dalla sfera dell’economia.

Un’impotenza conclamata e resa assoluta dall’incapacità di esercitare funzioni chiare di fronte alla “separatezza” dell’economico.

Un’impotenza conclamata e resa assoluta dall’incapacità di verificare, nel corso di lunghi mesi di straripante crisi, l’inidoneità degli organi e degli organismi nazionali e internazionali, finanziari, economici, privati e pubblici nell’investigare, prevenire, individuare, arginare, reprimere, colpire in tempo e con strumenti affidabili l’elusività dei processi criminosi di scomposizione e ricomposizione atomica della finanza virtuale mondializzata.

Ci sono scelte che in origine nascono e riposano in “meta-principi” ideologici. Scelte che sembrano riposare nel sonno degli immemori, che si impongono nella vita quotidiana come dogmi scontati, ovvi, indiscutibili, come presupposti irrinunciabili propri del liberismo ed oggi del neo liberismo imperante.

È insomma il capolinea di un discorso che ha origine nel tempo e che per precisa scelta ideologica mai è stato seriamente affrontato, mai è stato criticamente analizzato dai politici, dai teorici della politica, dai dottrinari dello Stato in regime di economia liberista.

Ma possono uno Stato o una Città rendersi idealmente e programmaticamente subalterni al denaro? Possono uno Stato, una Città, un intero sistema economico e politico, restare vittime del modus operandi di settori delimitatissimi quanto qualificatissimi, che perseguono fini esclusivamente di profitto speculativo e potere privato. Può un’economia potenzialmente sana, ridursi allo sbando per la smania di investire speculando, utilizzando i parametri del superfluo, del consumo fine a sè stesso e dell’indebitamento improduttivo, quali “fondamentali” atti ad orientare le “scelte” del nostro quotidiano?

Vince la paranoia privatrizzatrice che ingoia tutto, anche ciò che è naturalmente pubblico, veicolata da quella razza di “privato” che investe avendo un obiettivo ancora superiore a quello del profitto e cioè la desocializzazione di ogni potere e di ogni bene, attraverso la sistematica e quotidiana aggressione verso tutte quelle strutture istituzionali che possono garantire e promuovere forme e formule comuni in uno spirito di equità e di sensibilità al bisogno.

La logica vorrebbe che, in caso di congiunture economiche tanto sfavorevoli, fosse lo Stato, il “Pubblico”, ad assumere la gestione delle cosiddette crisi, attraverso la “nazionalizzazione” dei settori strategici dell’economia. Tre ordini di fattori sono stati scientificamente costruiti negli ultimi 50 anni per rendere allo stato attuale questa soluzione improponibile: la costruzione di un mostro burocratico bicefalo e cieco che chiamiamo unione europea, capace di imporre per regolamento la violenza ideologica da cui nasce; la ghettizzazione di ogni residuo di mentalità pubblica con il conseguente quanto agevole sterminio di ogni capacità, di una macchina statale svuotata di senso e contenuti, nel gestire, nell’interesse di tutti, ciclicità negative come quella da cui ci troviamo sommersi; la nascita del loro figlio naturale, quell’euro che disonora e mortifica il concetto stesso di moneta, la funzione storica della moneta e la sua capacità di farsi mezzo per la costruzione di politiche pubbliche universalmente vantaggiose.

Lo Stato, il Governo e le Municipalità cessano così di essere gli strumenti politico-giuridici attraverso i quali far valere i naturali diritti di ogni uomo prima e di ogni cittadino sovrano poi e divengono mera tecnica del prelievo forzoso e del diritto che non conosce giustizia.

Da cittadini a questuanti di fronte alle porte della Repubblica murate a pozzolana, cercheremo ognuno il nostro protettore, portando come merce di scambio quello che siamo stati e quello che potevamo continuare ad essere.