Chiesa di Rieti

La pietà che evidenzia il legame tra noi e Dio

La pietà è l'insieme dei doveri che ciascuno ha sia verso gli altri che verso i propri genitori. Enea, che fugge dall'incendio di Troia caricando sulle proprie spalle il figlio Ascanio e l'anziano padre Anchise, ne è in qualche modo il simbolo: perchè camminare da soli fa andare più veloce, ma camminare insieme fa andare più lontano

Durante la riflessione dopo il rosario di ieri sera, il vescovo Domenico ha proseguito a spiegare i sette doni dello Spirito Santo, soffermandosi stavolta sulla pietà.

«Istintivamente la pietà suona alle nostre orecchie in maniera stucchevole: quando qualcuno dice di provare pietà per qualcun altro, la cosa suscita comprensibilmente in chi viene compatito una giusta irritazione».

«Nella tradizione più antica, la pietà, la pietas, è l’insieme dei doveri che ciascuno ha sia verso gli altri che verso i propri genitori. Enea, che fugge dall’incendio di Troia caricando sulle proprie spalle il figlio Ascanio e l’anziano padre Anchise, ne è in qualche modo il simbolo. A differenza di Ulisse però, che voleva distinguersi dal resto del gruppo e aveva un ruolo di capo-eroe, Enea mostra di voler inseguire un successo meno solitario e allo stesso tempo più faticoso e più doloroso. Enea incarna quel detto secondo cui camminare da solo fa andare più veloce, ma camminare insieme fa andare più lontano».

«La pietà insomma – ha proseguito monsignor Pompili – rispetto alla semplice pietas, evidenzia il legame vissuto tra noi e Dio. In altre parole l’amicizia spirituale che si stringe con Dio padre e che suscita l’ammirazione e la lode. Quando lo Spirito Santo ci fa infatti percepire la presenza del Signore, ci si scalda il cuore e ci si muove spontaneamnete alla preghiera. Si tratta in questo caso di un peculiare sguardo sulla realtà che intenerisce e rende sensibili, provando ad identificarsi con ciò che accade sotto il nostro sguardo: e tale sguardo va dalla natura – che non è più una semplice cava di pietra da cui estrarre il massimo profitto, ma è l’ambiente vitale nel quale viviamo -, fino all’umanità in carne ed ossa».

«Quanta strada faremo nella vita dipende dalla nostra tenerezza con i giovani, dalla nostra compassione per i vecchi, dalla nostra simpatia per chi lotta, e dalla nostra tolleranza per i deboli e per i forti: perchè un giorno saremo stati tutti questo. Oggi la perdita dei legami che ci uniscono alimenta un senso diffuso di vuoto, di orfanezza, e perciò di solitudine. La mancanza di contatto fisico va cauterizzando i nostri cuori, facendo perdere ad essi la capacità di tenerezza e di stupore, di pietà e di compassione. Ce ne siamo resi conto nostro malgrado proprio in questo tempo di forzato distanziamento fisico: abbiamo tutti percepito la nostalgia di tornare a guardarci in volto, di toccarci, di sostenerci, perchè senza questa vicinanza ci sentiamo male».

«Quando dunque potremo tornare finalmente a stare a contatto con gli altri – ha concluso il vescovo – non dimentichiamo che se muore la pietà viene meno anche la nostra identità più profonda».