La montagna di Roma?

In una città divisa come Rieti, non stupisce che la presentazione del progetto di recupero e ampliamento degli impianti sciistici del Terminillo abbia avviato una qualche polemica. In certi casi lo scontro si è fatto anche parecchio duro e, conoscendo un po’ lo stile dialettico del luogo, non stupisce che talvolta si sia arrivati anche all’insulto.

Chi si oppone ai lavori ritiene il modello di sviluppo superato e inadeguato ai tempi, oltre a nutrire dubbi sull’esito economico e sulla reale capacità dell’iniziativa di attrarre risorse europee e di privati.

I favorevoli vedono con speranza la possibilità di potenziare impianti e piste da sci, recuperando le strutture dismesse e lavorando su un nuovo sistema di spazi, partenze e arrivi per accogliere al meglio gli amanti degli sport invernali.

Come per ogni progetto complesso non è facile dare tutta la ragione ad una parte o all’altra. Un buon punto di partenza potrebbe essere quello di non cedere alla nostalgia del prestigio perduto, ma neppure ad un ambientalismo astratto e fine a se stesso.

Dopo tutto la vera conservazione di un bene è quella che se ne fa con l’uso. Il problema è capire quale sia quello appropriato per un ambiente così prezioso, lasciato fortunatamente quasi intatto dall’incompetenza, dall’inerzia e dall’incapacità degli ultimi decenni.

Invece di lasciare l’argomento allo scontro o procedere per imposizione, sarebbe interessante assistere ad un percorso fatto di proposte aperte, di momenti di incontro e di capacità di ascolto, tramite i quali avvicinare la cittadinanza alla montagna, mediare i contrasti trai diversi interessi dei piccoli gruppi e ottenere il più ampio consenso su una visione condivisa.

Vanno bene le grandi opere, i piani quinquennali, il ritorno al futuro. Ma promuovere la montagna come “bene comune”, in fondo, sarebbe già un bel progresso. O qualcuno preferisce ancora il vago gusto coloniale suggerito dallo slogan della “Montagna di Roma”?