La malattia non è una condanna

L’invecchiamento della popolazione comporta un costante aumento delle patologie croniche. Una situazione cui è necessario rispondere in maniera decisa ed organica, anche alla luce dei numerosi tagli alla sanità che stanno colpendo le fasce più deboli della società. E la Pastorale della Salute diocesana compie un primo passo per rispondere alla sfida cercando di tenere insieme competenza e misericordia.

Sabato 10 ottobre si è svolto nella Basilica di Santa Maria del Popolo di Cittaducale un incontro formativo dal titolo “Come affrontare le malattie croniche?”. È stato un tentativo di guardare al punto di vista della Chiesa, dei medici e dei malati per propone elementi che aiutino ad affrontare le affezioni croniche con lo spirito giusto. A promuovere l’iniziativa è stata la Pastorale della Salute di Rieti. E proprio dal diacono Nazzareno Iacopini, direttore dell’Ufficio diocesano, guardiamo al senso della proposta.

Sui manifesti e sugli inviti si legge una frase stimonante: «nessuno può essere credibile se non sappiamo abitare i luoghi della sofferenza con carità e competenza».

Sì, credo che il nocciolo di questo incontro sia tutto qui. L’unione di carità e competenza proviene dall’invito rivolto a tutti i Direttori delle Diocesi della Pastorale per la Salute d’Italia, ad Assisi, dal Segretario Generale della CEI, Mons Nunzio Galantino. È l’indicazione di essere più Chiesa di missione che istituzione. È l’invito a fare di più per chi soffre. Se non teniamo insieme queste due parole chiave non possiamo essere credibili.

Perché affrontare il tema delle malattie croniche?

Perché il tema riguarda davvero tante persone. Secondo studi recenti dopo i quarant’anni una persona su due viene colpita da malattie croniche. Malattie che aumentano di intensità con il passare del tempo. E il dato va poi incrociato con quello specifico del nostro territorio. Nel Lazio la maggior parte della popolazione supera i 65 anni. Parliamo di un milione e mezzo di persone e tra queste il 10% è oltre gli 85 anni. E nella nostra provincia la percentuale sale a circa il 27%, ma sappiamo che nei territori montani questa stima tende ad aumentare notevolmente. Come Pastorale, ci siamo allora posti il problema di affrontare scientificamente il tema con persone molto qualificate che combattono con questa tipologia di malattie ogni giorno, anche se in modi completamente diversi.

Ma l’indirizzo dell’incontro non è sembrato puntare troppo agli aspetti medici del problema…

Infatti. Il rigore scientifico non serve per parlare di questa o quella malattia, ma per fondare su basi solide un orientamento. Come Pastorale intendiamo metterci al fianco dei medici e alle istituzioni per aiutare i malati ad affrontare la cronicità con lo spirito giusto. E dal nostro punto di vista vuol dire continuare a vivere ed avere uno sviluppo personale anche se in una condizione di maggiore fragilità. La malattia cronica dura nel tempo, non è guaribile, ma non ha neppure un immediato esito mortale. Il malato cronico vive sempre da malato, la malattia è sua compagna per il resto della vita. Ecco perché dobbiamo dare la massima attenzione, la massima assistenza, la massima vicinanza, con competenza e carità.

Di conseguenza è necessario “fare rete”…

Certamente: nel fare sì che la malattia non sia vissuta come una condanna, nell’impedire che essere malati voglia dire essere isolati dal mondo, si misura la qualità di una società. Quando non riesce la sconfitta non è per i malati, ma per tutti.