La Gmg nel tempo più drammatico della sua storia trentennale

La Messa di apertura viene chiamata anche di “accoglienza”: parola che suona oggi strana quanto impegnativa. Come si fa ad accogliere il fratello che inneggia e agisce nel segno della violenza? Difficile, davvero. Eppure c’è – nello stare insieme di questi ragazzi – un tentativo costante di convergere su qualcosa che coinvolga il gruppo, che faccia ridere tutti; come se il bisogno di questi giovani fosse (una volta di più) non solo quello di risultare simpatici agli altri, ma anche di farli stare bene, di farli sorridere

Impossibile andare a dormire senza un pensiero a quello che è successo in Francia. Qui a Cracovia si fa fatica a percepirne tutto il peso e l’orrore: ci si guarda attorno e non si vedono altro che giovani in festa. Poi l’immagine di un parroco ucciso davanti ai suoi fedeli mentre celebra la messa, è come un carico pesante di nuvole scure che all’improvviso appaiono su un cielo azzurro.
Mi chiedevo, oggi, cosa ne sarà di questi ragazzi. Se fossero a casa loro, forse si lascerebbero prendere dalla paura; o forse scivolerebbero in quei discorsi a basso consumo di fosforo che si perdono nei luoghi comuni. Quelli che la soluzione ce l’hanno già in tasca: chissà perché i governanti non la mettono in pratica. Per carità; la paura è un sentimento serio e scoprire che in nessun luogo della terra si sta al sicuro, non aiuta a governarla.
Ma questi ragazzi non sono a casa loro. Sono qui: forse persino al riparo dalle paure degli adulti e lontani dalla cronaca scura dell’ennesimo gesto di violenza. Eppure sanno fare casa subito, con poco.

Oggi – nel cortile di Casa Italia – non riuscivamo più a contenerli: credo siano passati a migliaia. Cantavano e ballavano, cercavano riparo dal caldo in un bellissimo parco del convento che ci ospita; si sedevano in cerchio a pregare e a confrontare le loro domande.

La Messa di apertura viene chiamata anche di “accoglienza”: parola che suona oggi strana quanto impegnativa. Come si fa ad accogliere il fratello che inneggia e agisce nel segno della violenza? Difficile, davvero. Eppure c’è – nello stare insieme di questi ragazzi – un tentativo costante di convergere su qualcosa che coinvolga il gruppo, che faccia ridere tutti; come se il bisogno di questi giovani fosse (una volta di più) non solo quello di risultare simpatici agli altri, ma anche di farli stare bene, di farli sorridere.
Oggi la Polonia ha ufficialmente accolto il mondo nella propria terra nel segno dell’amore offerto di Gesù: per questo si utilizza la celebrazione eucaristica per dire dell’apertura e dell’accoglienza. Lo ha fatto nei giorni forse più drammatici per il mondo, almeno da parecchi anni. Nella Gmg vissuta nel tempo più drammatico della sua trentennale storia. Perché? Perché lo si fa?Guardateli, questi ragazzi. Osservate come sanno stare insieme. Provate a vedere quanto siano capaci di andare al di là delle barriere e a riscoprirsi anche quando (a un primo contatto) si sono considerati antipatici. Questa loro carica di vita, questa loro capacità di costruire naturalmente legami scegliendo l’amicizia piuttosto che l’essere avversari e nemici, ci ricorda quanto la fraternità sia scritta nel cuore di ciascuno.

A questi ragazzi, oggi non possiamo che dire sinceramente grazie:

sono (ancora) il segno di una vita che sa sorridere e sperare (nonostante tutto) di poter essere un segno forte di futuro.