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La fisarmonica di Esther. Scomparsa la coraggiosa testimone dei crimini nazisti

Esther Bajarano è morta sabato scorso, 10 luglio ad Amburgo. Aveva 96 anni. La notizia della sua scomparsa è rimbalzata subito sui social

“Quando morirò, ci saranno persone che continueranno a raccontare la mia storia, una nuova generazione”.

Esther Bajarano è morta sabato scorso, 10 luglio ad Amburgo. Aveva 96 anni. La notizia della sua scomparsa è rimbalzata subito sui social. “La coraggiosa testimone contemporanea dagli occhi piccoli e vispi – ricorda su Fb la “Weiße Rose Gemeinschaft” (la compagnia della Rosa Bianca) – aveva deciso di rompere il silenzio sui crimini dei nazisti a cui aveva assistito in prima persona e di raccontare quegli orrori, per impedire che nulla di tutto ciò non si ripetesse mai più”.

Questa è la sua storia.

Esther nasce il 15 dicembre 1924 a Saariouis, in Germania, in una famiglia di musicisti di origine ebraica. “Papà era un cantante e pianista – aveva raccontato qualche anno fa a Ard.mediathek in una lunga intervista, riproposta in questi giorni sul web – e noi figli sapevamo tutti suonare il pianoforte”. Insieme ai fratelli frequenta la scuola ebraica, dove impara l’inglese, il francese e l’ebraico. “Sapevamo che quelli erano tempi difficili e che presto saremmo stati costretti ad emigrare – ricordava – conoscere le lingue ci avrebbe aiutato”.

Arrivano poi le prime leggi razziali. Agli ebrei viene vietata la possibilità di andare a scuola. “Noi eravamo dei bambini e non capivamo il perché di queste leggi, così come non comprendevamo perché nessuno voleva più parlare e giocare con noi. Lentamente siamo stati discriminati sempre più. Anche nelle cose quotidiane, come fare la spesa. Non potevamo andare più al cinema o a teatro”. La famiglia di Esther non ha risparmi a sufficienza per garantire a tutti la fuga all’estero. “Mio fratello riuscì ad andare in America, mentre mia sorella fuggì in Palestina”. A casa con i genitori rimangono lei e sua sorella Ruth, che viene internata in un campo di lavoro.

Nel 1942 Esther viene internata nella tenuta di Neuendorf, vicino a Fürstenwalde, nel Brandeburgo orientale. Doveva fare lavori forzati in un negozio di fiori a Fürstenwalde. Ha appena 16 anni quando riceve una lettera dalla Gestapo, che le intima di recarsi a Breslau per vuotare l’appartamento dove vivevano i suoi genitori. “Noi ebrei non potevamo viaggiare in treno, né in bus. Per raggiungere Breslau ottenni un permesso speciale dalla Gestapo. Arrivata in stazione trovai gli agenti ad aspettarmi. Mi scortarono fino all’appartamento dei miei, che era stato posto sotto sequestro. Appena entrata vidi che era tutto come lo avevo lasciato. Mancavano solo mamma e papà. ‘Dove sono i miei genitori?’ chiesi e gli agenti mi risposero che non lo sapevano, ma che sicuramente si sarebbero fatti vivi. Mi diedero la possibilità di prendere solo i miei effetti personali e di metterli in due valigie. Scoppiai a piangere e uno degli uomini della Gestapo mi disse di non piangere, perché avrei vissuto cose peggiori”.

Esther torna a lavorare nel negozio di fiori. Sulla sua casacca aveva cucita la stella a sei punte. “Un giorno un cliente si lamentò di essere stato servito da un’ebrea. La cosa giunse all’orecchio della Gestapo”. Nell’aprile del 1943 viene deportata con altri giovani ebrei da Neuendorf prima a Große Hamburger Straße a Berlino e da lì con il “37.mo Trasporto Est” al campo di concentramento Auschwitz-Birkenau. “Sapevamo che era un campo di concentramento, ma non immaginavamo che fosse anche un campo di sterminio”.

Il viaggio nel vagone bestiame dura diversi giorni. “Siamo stati accolti da due uomini in abiti civili. Le persone più anziane, deboli e le mamme coi bambini piccoli sono state fatte salire su dei camion, mentre noi giovani abbiamo dovuto raggiungere il campo di Birkenau a piedi. Inizialmente pensavamo ad un gesto di attenzione verso queste persone più fragili, ma poi, una volta giunti al campo, abbiamo fatto l’amara scoperta che tutti quelli che erano saliti sul camion erano stati portati nelle camere a gas”. Esther, insieme alle sue compagne di prigionia, viene destinata ai lavori forzati. Ogni giorno deve spostare delle pesanti pietre da un lato all’altro della strada. E il giorno seguente rimetterle nel posto da dove le avevano prese. “Una vera e propria follia. Molte sono state quelle che sono morte di fatica”.

Una sera, però, la vita di Esther cambia. Tornata al suo blocco (una ex stalla per cavalli, dove le internate non avevano nemmeno una coperta per ripararsi dal freddo), viene contattata dalla violinista polacca Zofia Czajkowska, che era stata incaricata di mettere in piedi un’orchestra femminile. “Sapeva che suonavo e amavo la musica. Mi aveva sentito cantare brani di Schubert e Mozart. Insieme a me si sono fatte avanti altre due mie amiche, una suonava il violino, l’altra il flauto dolce. Czajkowska mi disse che non cercavano pianiste, perché non c’era un piano da poter suonare, ma se sapevo suonare la fisarmonica, mi avrebbe fatto fare il provino per entrare in orchestra”. Esther non aveva mai preso in mano una fisarmonica in vita sua. “Sapevo solo che tirando il mantice usciva il suono. Con la mano destra non c’erano problemi, era come sul pianoforte. Con la sinistra ho avuto la fortuna di trovare subito il tasto del Do e da lì ho capito dov’erano tutti gli altri”. Le viene chiesto di suonare la melodia di “Du hast Glück bei den Frau’n, Bel Ami” dal film musicale “Bel Ami” del regista viennese Willi Forst. Era una melodia molto popolare nel Reich tedesco, il che era notevole in considerazione del suo ritornello “non eroico”. Giusto il tempo di fare una prova e poi Esther affronta il provino. “È stato un miracolo. Ancora oggi non so come io sia riuscita a superare la prova ed essere ammessa nel gruppo”.

L’orchestra femminile di Auschwitz-Birkenau era composta da 42-43 elementi. “Gli strumenti erano quelli che i deportati portavano con sé e che erano costretti a lasciare al loro arrivo nel campo. C’erano tante chitarre, violini e flauti di tutti i tipi. E una sola fisarmonica”. Gli spartiti erano stati passati dall’orchestra maschile.

L’orchestra doveva suonare la mattina quando le internate uscivano in colonna dal campo per andare a lavorare e la sera, al loro ritorno. “Dovevano marciare al ritmo della nostra musica”. Il gruppo doveva suonare, inoltre, all’arrivo dei nuovi internati. “Sapevamo che quelle persone erano tutte destinate alle camere a gas. Suonavamo con le lacrime agli occhi, ma non potevamo dire o fare nulla, perché le SS ci avrebbero uccise”.

Qualche tempo dopo Esther viene trasferita al campo di Ravensbrück, dove venne impiegata nella manovalanza coatta alla Siemens. Nel frattempo si avvicina la fine della guerra e Esther con le sue compagne viene costretta a lasciare il campo e iniziare la “Todesmarsch”, la marcia della morte. “Abbiamo camminato per settimane, in direzione di Meclemburgo (Pomerania), eravamo sistemate in file di 7 ragazze. Chi cadeva o non ce la faceva più a proseguire veniva uccisa delle SS sul posto”.

Esther, insieme alle altre 6 della sua fila riescono, in maniera rocambolesca, a scappare e a nascondersi in un bosco. Trovano rifugio in una fattoria. “Ci siamo subito sfilate la divisa del campo. Sotto avevamo abiti civili, per non farci riconoscere. Il contadino ci ha messo a disposizione il fienile per la notte e ci ha portato patate lesse da mangiare, che abbiamo letteralmente divorato. La mattina dopo ci siamo rimesse in cammino e abbiamo trovato due carri armati americani. Ai soldati abbiamo mostrato il numero che avevamo tatuato sul braccio”. Le ragazze vengono subito soccorse e portate nel vicino paese di Lübz, dove vengono accompagnate in un ristorante. Raccontano la loro storia ed Esther dice di aver suonato la fisarmonica nell’orchestra femminile di Auschwitz. “Un soldato americano mi ha regalato la sua fisarmonica dicendomi: ‘suona, perché la guerra è finita’”.

Erano i primi di maggio del 1943. Nella piazza di Lübz si festeggiava la fine della guerra con canti e balli. “E io – ricordava Esther Bajarano ai microfoni di Ard.mediathek – suonavo la fisarmonica. Quel giorno per me non è stato solo il giorno della fine della guerra, ma è stato il giorno della mia seconda nascita”.

Nel 1945 Esher emigra in Palestina. Qui lavora come cantante e insegnante di musica. Nel 1960 decide di tornare in Germania con il marito e i due figli. Ad Amburgo insieme ad altri ex perseguitati fonda l’”Auschwitz Komitee Deutschland”. Da allora non ha mai smesso di cantare, suonare e raccontare nelle scuole e nelle piazze la sua storia. “Perché quell’orrore non si ripeta mai più”.