Cultura

“La collina su cui saliamo”: il testo della poetessa 22enne alla Casa Bianca

L'afroamericana Amanda Gorman, 22 anni, ha recitato il suo componimento al giuramento di Biden. Le suggestioni del rap rielaborate in un progetto di convivenza. Il testo in italiano

Per il resto del mondo è stata una sorpresa, per gli Stati Uniti forse un po’ meno. Prima ancora di intervenire al giuramento di Joe Biden e Kamala Harris, l’afroamericana Amanda Gorman aveva fatto molto parlare di sé nel 2017, quando era stata la prima persona a beneficiare dello status di Giovane Poeta Laureato d’America: qualifica inconsueta, che in sostanza è stata creata apposta per lei, la «minuta ragazzina nera» che «può sognare di diventare presidente e intanto ritrovarsi a recitare davanti a un altro presidente». Nata a Los Angeles il 7 marzo 1998, con la performance dell’altro giorno Gorman ha colto un altro primato, quello del più giovane American Poet mai convocato per l’Inauguration Day.

Una scelta perfettamente in linea con l’intera organizzazione della cerimonia, nella quale erano rappresentate le diverse componenti di quell’America multiculturale (e transgenerazionale) che Biden promette di riportare alla ribalta. In defintiva, però, a rubare la scena è stata proprio la giovanissima Amanda, con il suo cappottino squillante e l’acconciatura etnica capaci di surclassare perfino l’esibizionismo di Lady Gaga, questa volta più misurata del solito nel tentativo – riuscito – di risultare nello stesso tempo trasgressiva e istituzionale. La cantante di Bad Romance ha intonato The Star-Spangled Banner (La bandiera a stelle strisce), l’inno nazionale eseguito per l’occasione dalla banda dei Marine.

A questa prima esibizione canora, evidentemente indirizzata al tradizionale elettorato democratico delle grandi metropoli, ha fatto seguito quella di Jennifer Lopez, impegnata in un medley composto da due brani altrettanto significativi: This Land is Your Land (Questa terra è la tua terra), un classico composto nel 1940 dal patriarca del folk Woody Guthrie, e America, the Beautiful (Bellissima America), che con l’inno nazionale viene spesso confuso. Per togliere ogni dubbio sul fatto che il messaggio fosse rivolto alle minoranze, la combattiva JLo ha anche pronunciato qualche parola in spagnolo invocando giustizia para todos.

Ultimo a esibirsi dal balcone della Casa Bianca Garth Brooks, divo della musica country ancora popolarissimo nonostante si sia da tempo ritirato a vita privata. Cappello da cowboy in testa, Brooks ha cantato a cappella Amazing Grace (Grazia meravigliosa), struggente inno liturgico risalente al XVIII secolo. Il pezzo più tradizionale, affidato all’interprete di un genere, il country, solitamente apprezzato più dai repubblicani che dai democratici.

L’elemento religioso ha svolto un ruolo rilevante in tutta la cerimonia. Non sono mancati i riferimenti diretti al magistero di papa Francesco e non è passato inosservato che la preghiera ufficiale sia stata tenuta dal gesuita Lee O’Donovan, amico di Biden. Il quale, a sua volta, ha voluto compiere il proprio giuramento sull’imponente Bibbia che appartiene alla sua famiglia fin dal 1893. Il volume è così massiccio non solo perché il canone cattolico è più ampio di quello protestante (vi rientrano anche i cosiddetti “Apocrifi” esclusi già dalla Bibbia ebraica), ma anche perché nel libro è presente un commento più dettagliato. La stessa Amanda Gorman, del resto, ha citato la Scrittura nella sua poesia, The Hill We Climb (La collina su cui saliamo), nella quale non è difficile individuare la sintesi del programma del duo Biden-Harris: «Saremo sempre uniti tra noi, vittoriosi. / Non perché non conosceremo più la sconfitta, ma perché non semineremo più discordia».

Qui di seguito il testo della composizione in italiano, con la traduzione di Alessandro Zaccuri.

La collina su cui saliamo

di Amanda Gorman

Viene il giorno in cui ci domandiamo: dove troveremo la luce in questa tenebra infinita?

Il lutto dentro di noi. Un mare da attraversare.

Abbiamo sfidato il ventre della bestia.

Abbiamo imparato che la tranquillità non sempre è pace, e che le norme e le nozioni di ciò che è “giusto” non sempre sono giustizia.

E tuttavia l’alba è sorta prima che ce ne accorgessimo.

In un modo o nell’altro, eccoci qui.

In un modo o nell’altro sosteniamo e testimoniamo una nazione che non è spezzata, ma soltanto incompleta.

Noi, gli eredi di un paese e di un tempo in cui una minuta ragazzina nera, discendenti di schiavi e cresciuta dalla sola madre, può sognare di diventare presidente e intanto ritrovarsi a recitare davanti a un altro presidente.

E sì, siamo tutt’altro che rifiniti, tutt’altro che intatti, ma questo non significa che stiamo stiamo anelando a un’unione che sia perfetta.

Aneliamo forgiare la nostra unione dandole uno scopo.

Per dare vita a un paese che abbia a cuore ogni cultura, ogni colore, ogni carattere e condizione umani.

Ed è così che alziamo lo sguardo, per guardare non ciò che si frappone tra noi, ma ciò che sta di fronte a noi.

Superiamo le divisioni perché sappiamo che, per mettere il futuro al primo posto, dobbiamo anzitutto mettere da parte le nostre differenze.

Deponiamo le armi per poterci abbracciare.

Non vogliamo agonia per nessuno, ma armonia per tutti.

Facciamo in modo che il mondo, se non altro, dica che è vero.

Che abbiamo pianto, ma siamo cresciuti.

Che abbiamo sofferto, ma abbiamo sperato.

Che siamo stati stanchi, ma ci abbiamo provato.

Che saremo sempre uniti tra noi, vittoriosi.

Non perché non conosceremo più la sconfitta, ma perché non semineremo più discordia.

Le Scritture ci dicono di sognare un mondo in cui ciascuno possa sedere all’ombra della vigna e del fico, senza più avere paura.

Se vogliamo essere all’altezza del nostro tempo, allora dobbiamo fare in modo che la vittoria non venga dalla spada, ma dai ponti che costruiamo.

Questa è la promessa da celebrare, è la collina su cui saliamo, se solo ne abbiamo il coraggio.

Perché essere americani è molto più dell’orgoglio che abbiamo ereditati.

È il passato che attraversiamo, è il modo in cui ce ne prendiamo cura.

Abbiamo visto una forza capace di mandare in pezzi la nostra nazione, anziché permetterci di condividerla.

Capace di distruggere il nostro paese se adoperata per ostacolare la democrazia.

E poco è mancato che questo tentativo riuscisse.

La democrazia può essere ostacolata, di tanto in tanto, ma non può essere sconfitta per sempre.

In questa verità, in questa fede che ci sostiene, adesso volgiamo gli occhi verso il futuro, mentre la storia tiene gli occhi fissi su di noi.

Questa è l’era del giusto riscatto.

Ne abbiamo temuto l’avvento.

Non ci sentiamo pronti a essere gli eredi di un’ora così terribile.

Ma è qui che troviamo il potere per scrivere un nuovo capitolo, per offrire speranza e risate a noi stessi.

Dunque, se una volta ci domandavano come saremmo sopravvissuti alla catastrofe, ora dichiariamo che in nessun modo la catastrofe avrebbe potuto prevalere su di noi.

Non retrocederemo a quel che è stato, ma procederemo verso quel che sarà: un paese ammaccato ma intero, benevolente ma prode, fiero e libero.

Non ci lasceremo distogliere o intralciare dalle intimidazioni.

Ci faremo carico dei nostri errori.

Ma una cosa è certa.

Se uniremo la misericordia alla forza, e la forza alla giustizia, allora l’amore sarà il nostro lascito e darà ai nostri figli un nuovo diritto di nascita.

Su, lasciamo dietro di noi un paese migliore di quello che ci è stato lasciato.

Con ogni respiro del mio petto scolpito nel bronzo, trasformeremo questo mondo ferito in un mondo felice.

Sorgeremo dalle colline dorate dell’Ovest.

Sorgeremo dal Nordest sferzato dal vento, dove i nostri antenati per primi misero a segno la rivoluzione.

Sorgeremo dalle città del Midwest, affacciate sui laghi.

Sorgeremo dal Sud inondato di sole.

Ricostruiremo, ci riconcilieremo, guariremo insieme.

E da ogni angolo della nazione, da ogni parte del paese, il nostro popolo così magnifico e vario riemergerà, malconcio e magnifico.

Viene il giorno in cui usciamo dall’ombra e dal fuoco, ne usciamo senza paura.

L’alba nuova è come un pallone che sale mentre lo lasciamo libero.

Perché c’è sempre luce, se solo abbiamo il coraggio di vederla.

Se solo abbiamo il coraggio di essere luce.

 

Da avvenire.it