La città e il vuoto tra la vita e la politica

Ne parlavamo proprio l’altro giorno con degli amici: l’incoerenza tra la vita amministrativa e quella “reale” fa cadere le braccia. La sintonia tra i meccanismi che fanno funzionare il “Palazzo” e l’esistenza delle persone non è mai stata così poca. Fanno presto i benpensanti di ogni schieramento a lamentarsi di una certa “antipolitica”: se è definitivamente entrata tra i fenomeni di massa un motivo ci dovrà pur essere!

Anche senza voler cedere ad eccessive semplificazioni, certi vizi sono così evidenti da rendere l’indignazione fin troppo facile. Tuttavia sembra utile non fermarsi alla tiritera sulle mangerie della casta. Potrebbero risultare specchietti per le allodole, e distrarre da contraddizioni forse anche più serie.

Intrallazzo e politica, infatti, vanno a braccetto oggi come sempre. Ma è pure vero che al netto dei soliti compromessi e degli odiati favoritismi, tanti amministratori sembrano animati da un’ispirazione onesta e da una sincera voglia di risolvere i problemi.

Spesso però queste buone intenzioni sono come azzoppate, frenate, impedite. Vincere le elezioni, infatti, è la fatica minore. Poi bisogna fare i conti con la realtà parallela dei vincoli normativi, delle pastoie burocratiche e di una strategica mancanza di risorse. Sono tutte condizioni solitamente estranee alla vita delle comunità. Infatti parlano una lingua diversa ed hanno per nome formule astruse. Il “patto di stabilità” ne è un esempio, ma di sicuro ci sono cose anche peggiori nascoste dietro acronimi oscuri e impronunciabili.

In ogni caso questi apparati normativi stabiliscono vincoli stringenti per l’azione amministrativa, ingabbiando in sorde procedure tecniche quella sorta di legittima “creatività” con cui una sana politica potrebbe arrivare a risolvere i problemi.

Un buon esempio di questa situazione è la rigida destinazione d’uso cui soggiaciono certe risorse. Capita, infatti, che ci siano parecchi soldi a disposizione, ma che debbano per forza essere spesi in cose inutili – o non particolarmente urgenti – senza poter essere dirottati verso un utilizzo più vicino alle aspettative generali.

Diviene normale, di conseguenza, assistere al rifacimento di piazze tutto sommato in buono stato, nonostante manchino i soldi per sostenere gli anziani o dare una speranza ai precari della pubblica amministrazione. Tutte situazioni verso cui sindaci e assessori solitamente oppongono contrite spallucce, dichiarando di non poterci fare nulla. Senz’altro è vero, ma non per questo fa piacere vederli serenamente rassegnati a questa impotenza.

Per continuare a credere nella politica come «più alta forma di carità», sarebbe piuttosto confortante sentirli rivendicare con maggiore convinzione la libertà di poter agire nell’interesse dei cittadini, senza doverlo subordinare ad un ordine di priorità scritto nello stile di qualche tecnocrate di Bruxelles.

Oggi è forte la convinzione di vivere la crisi del modello democratico. Il movimentismo civico di questi anni prova a farsi avanti per metterci una toppa. La gente si sta infatti rendendo conto che non può limitarsi ad appaltare la soluzione dei propri problemi ai politici. Per uscirne deve in qualche modo farsi protagonista.

È una buona intuizione, ed alcuni interessanti successi in questa direzione debbono giustamente rallegrare. Tuttavia non è certo il caso di cantare vittoria. Anche perché colmare il vuoto che c’è tra la cittadinanza e la classe politica non sembra essere un’impresa così impossibile. Ma non sarà che una volta arrivati a quel punto la distanza che separa le vite dei singoli e delle famiglie dalle vere stanze dei bottoni sarà ancora tutta da coprire?