La città all’ombra del santo

Ha preso il via, dopo una lunga e accurata preparazione, la mostra “Francesco, il santo”.

L’esposizione d’arte coinvolge su più piani la città e i suoi riferimenti francescani. Innanzitutto per la sua collocazione tra il Museo Civico, il Museo Diocesano e lo storico Palazzo Potenziani.

I curatori, inoltre, hanno inteso creare un percorso che miscela alcuni capolavori antichi e moderni provenienti da tutta Italia, con le più interessanti opere d’arte che Francesco di Assisi ha ispirato nel contesto della nostra Valle Santa, assieme a codici, incisioni, stampe, reliquiari e altre testimonianze concrete della storia del movimento francescano nel reatino.

Lo sforzo degli organizzatori, quindi, è stato quello di inserire la città di Rieti nel contesto di un più ampio circuito culturale, attraverso il riferimento al Poverello d’Assisi.

Il risultato ha sicuramente aspetti positivi. Dimostra ancora una volta la reale capacità della città di farsi contenitore di manifestazioni di buon livello. Ma più interessante ancora è il tentativo di essere il contenuto, di puntare su qualcosa di proprio. Sarebbe fuorviante, però, cercare di dimostrare che «non abbiamo niente da invidiare agli altri», come abbiamo sentito durante la presentazione della mostra.

A volte la giusta voglia di sprovincializzare conduce, per paradosso… ad un certo provincialismo, ad una malsana invidia, ad una imitazione di altre realtà tanto pomposa quanto inefficace.

Un vizio di fondo che, a nostro avviso, da parecchi anni caratterizza un po’ tutte le iniziative istituzionali organizzate in città. Si direbbe che dietro alla pretesa di “fare cultura” ci sia un frettoloso desiderio di entrare nel “giro buono”, di conquistare, usiamo una formula “sabauda”, un qualche prestigio «extra-nazionale». Magari fondandolo su un che di alieno, estraneo, importato con la scusa della «promozione turistica della città». Ma anche il «marketing territoriale» ha i suoi limiti.

L’esperienza ci insegna che questa impostazione non funziona. Certamente apre certe finestre, accende degli spot. Ma la cultura piegata al commercio non paga. Alla fine “della fiera”, pure se internazionale, non resta nulla di stabile. Da questo punto di vista il problema di Rieti è che gli sforzi delle sue politiche culturali sono, per così dire, centrifughi: non lasciano un deposito duraturo.

Più utile sarebbe invece valorizzare e far crescere il pensiero, le attitudini e le attività dei suoi abitanti.

Da anni inseguiamo “la grande occasione” con idee sconclusionate. Talvolta con follie che fortunatamente non sempre si realizzano, come l’autodromo da Formula 1 nella Piana. Altre volte sono stati allestiti festival internazionali dal sapore elitario e un po’ snob, celebrati con i cancelli rigorosamente chiusi.

Ma il turismo non funziona così. Ad essere attrattiva è l’identità, la specificità, l’unicità. Le città non diventano turistiche sulla base di questo o quell’evento, creato ad hoc e sovrapposto alla normale quotidianità. Conta assai di più l’interesse che suscita la loro storia, la curiosità per il loro modo di vivere, il fascino che emana dalle loro peculiarità. Più che per i grandi eventi, oggi è forse tempo di tornare a lavorare su noi stessi, su ciò che siamo in grado di elaborare, sulle nostre specificità.

Alcune piccole esperienze autonome hanno già dato buoni frutti da questo punto di vista. Nonostante la quasi totale indifferenza delle istituzioni.

Viene in mente, ad esempio, la Rievocazione storica della canonizzazione di San Domenico. Si è dimostrata non solo capace di riempire le piazze della città a partire dal lavoro autonomo di cittadini e associazioni, ma addirittura di essere capace di esportazionsi.

Guardiamo al sapore che danno alla città le infiorate in onore di Sant’Antonio. Il lavoro e la fatica che tanti cittadini fanno spontaneamente sulle strade della città hanno un fascino difficile da spiegare, ma genuino. La stessa Processione dei Ceri mette in evidenza una identità forte della città. Non a caso è conosciuta fuori dalle mura, forse ben oltre quello che sospettiamo.

E potremmo citare ancora altre iniziative, come ad esempio i Cavalli Infiocchettati. Oppure, in un altro campo, il lavoro che associazioni come Musikologiamo fanno per dare ai musicisti locali spazio e dignità, in un panorama altrimenti deformato dalla ricerca della star ad ogni costo.

La mostra su San Francesco è di alta qualità, ma al momento sembra rimanere scollata dalla città. Si vorrebbe intrecciare ad essa, ma rischia di farlo in maniera superficiale, occasionale, incompiuta. Mentre, al di sotto della superficie liscia e sottile delle politiche culturali ufficiali, c’è una città che suona, fa cinema e teatro, scrive, prega, approfondisce e si interroga.

Che sia arrivato il tempo di prestarle orecchio, spazio e mezzi?