La Cina alla conquista dell’America Latina

Nel 2014, il volume di interscambio tra Cina e America Latina ha raggiunto i 263,6 miliardi di dollari e fino alla fine del 2014 gli investimenti hanno superato i 100 miliardi di dollari. Ora l’annuncio: il Governo cinese investirà 250mila milioni di dollari nei Paesi dell’America Latina e dei Caraibi nei prossimi dieci anni, particolarmente in progetti minerari e nella costruzione di infrastrutture.

Forse neanche Marco Polo, primo occidentale a vedere la Cina nel 1271, – avrebbe potuto immaginare che quella civiltà che lo impressionò così tanto, un giorno avrebbe conquistato il mondo. È quello che sta avvenendo.
Negli ultimi anni, il regime cinese è passato dalla realizzazione delle fantasmagoriche opere interne – innalzare il ponte Hangzhou Bay Bridge, 36 chilometri sul mare consegnati otto mesi prima della previsione di scadenza dei lavori, costruire in 30 anni 1,5 milioni di chilometri di strade (tre volte il giro del mondo), realizzare il treno superveloce tra Nanchino e Houghton – al lancio di progetti che riguardano l’economia e l’assetto socio-culturale di interi continenti.
L’avventura ha avuto inizio con l’Africa, dove si stima che gli investimenti economici cinesi abbiano superato i 200 miliardi di dollari, che comprendono la costruzione di intere città, definite “fantasma”: come la Nova Cidade de Kalimba, in Angola, costata 2,5 miliardi di euro e composta da circa 750 edifici, ciascuno di otto piani, che può accogliere circa 500mila abitanti.
Se gli investimenti in Africa corrispondono al tentativo di sfruttare le materie prime del continente (petrolio, legnami, diamanti, platino ed oro) e alla necessità di trovare uno sbocco fisico al problema della sovrappopolazione – la Cina ha la necessità di “liberarsi” di almeno 300 milioni di persone – quelli in America Latina, che si sono consolidati in questi giorni con la visita del premier del Consiglio di Stato cinese Li Keqiang in Brasile, Colombia, Perù e Cile, sembrano rispondere a una pura logica di espansione del mercato.
Nel 2014, il volume di interscambio tra Cina e America Latina ha raggiunto i 263,6 miliardi di dollari e fino alla fine del 2014 gli investimenti hanno superato i 100 miliardi di dollari. Riguardano grandi progetti: l’accordo con Brasile e Perù per la costruzione di una ferrovia che collegherà l’Oceano Atlantico al Pacifico, per il trasporto dei prodotti agricoli brasiliani sulla costa pacifica del Perù, evitando così di far passare le sue navi dal Canale di Panama, che è sotto l’influenza degli Stati Uniti; la realizzazione del Canale sul lago Nicaragua, il più grande dell’America Centrale, per assicurarsi la maggior parte del traffico navale proveniente dai Paesi asiatici; i giacimenti di gas e petrolio in Ecuador; le miniere di oro e rame e il settore pubblico in Venezuela; i rilevantissimi interscambi con l’Argentina, compresi quelli relativi al programma spaziale del Paese latino-americano, uno dei più avanzati del continente; i 29 accordi con Cuba relativamente ai settori della finanza, della biotecnologia, dell’agricoltura, delle infrastrutture e delle energie rinnovabili.
Il presidente della Cina, Xi Jinping, partecipando nello scorso mese di gennaio a Pechino alla prima riunione ministeriale del Forum della Cina e della Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (Celac), ha suggellato questo grande programma di collaborazione. Ha sottolineato che la Cina è disposta a lavorare con i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi per costruire insieme una nuova piattaforma della cooperazione globale a lungo termine e in una prospettiva strategica, preannunciando che il Governo cinese investirà 250mila milioni di dollari nei Paesi dell’America Latina e dei Caraibi nei prossimi dieci anni, particolarmente in progetti minerari e nella costruzione di infrastrutture. Una prospettiva di questo tipo, che scompagina gli assetti geopolitici, inquieta fortemente chi ha avuto nel corso degli ultimi cento anni un’influenza determinante – e in molti casi mal sopportata – sull’America Latina: gli Stati Uniti, che negli ultimi tempi non sembrano però in grado di contro-bilanciare la grande espansione del gigante asiatico.