La Chiesa: Una, santa, cattolica e apostolica

L’impotenza a cambiare le logiche umane e far trionfare le ragioni della pace in un mondo ostile, ci fa sentire con più urgenza il bisogno di realizzare l’unità nella diversità universale (cattolica) della Chiesa, in modo che, come dice una delle Preghiere Eucaristiche (V/d), “In un mondo lacerato da discordie, la Chiesa risplenda segno profetico di unità e di pace”, come lo è stata fin dai tempi degli Apostoli.

L’analogia tra matrimonio umano e l’unione tra Cristo e la Chiesa sta nel fatto che entrambi sono fondati sull’amore: “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola … senza macchia né ruga, ma santa e immacolata” (Ef 5,25). Ma cosa ha amato di preciso, ci domandiamo, se al momento di dare la vita la Chiesa non esisteva ancora? Ha amato, spiegano gli esegeti, “la Chiesa preesistente in Dio in virtù della sua elezione e determinazione prima del tempo”. Cristo ha amato la Chiesa dello stesso amore con cui Dio amava l’umanità nel crearla. La creatura esiste perché è stata amata. Questo si realizza in modo eminente nella Chiesa. Essa esiste in quanto amata. “Amata” è il nome che riceve la sposa futura e fedele di Dio nel Libro del Profeta Osea (Os 2,3).

Se Cristo ha amato la Chiesa nonostante le iniquità che essa doveva commettere, facendo quasi finta di non vederle, chi siamo noi per trovare nelle debolezze e miserie della Chiesa una ragione per non amarla e anzi giudicarla? Proprio noi che siamo così carichi di peccato?

Crediamo che Gesù non li conoscesse meglio di noi i peccati della Chiesa? Non sapeva egli per chi moriva? Non sapeva che, tra i suoi discepoli, uno lo aveva tradito, un altro lo stava rinnegando e tutti stavano fuggendo? Ma egli ha amato questa Chiesa reale, non quella immaginaria e ideale. È morto per renderla “santa e immacolata”, non perché era già santa e immacolata. Ha amato la Chiesa “in speranza”; non solo per quello che “è”, ma anche per quello che è chiamata ad essere e che “sarà”: la città santa, la Gerusalemme nuova “pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (Ap 21,2).

La Chiesa sarebbe senza macchia, se non avesse noi! La Chiesa avrebbe una ruga in meno, se io avessi commesso un peccato in meno. A Lutero che lo rimproverava di rimanere nella Chiesa cattolica, nonostante la sua “corruzione”, Erasmo di Rotterdam rispose un giorno: “Sopporto questa Chiesa, in attesa che divenga migliore, dal momento che anch’essa è costretta a sopportare me, in attesa che io divenga migliore”.

Provate a dire a un uomo veramente innamorato che la sua sposa è brutta, o che è una poco di buono, e capirete che non potete fargli offesa più grande!

(da: Amare la Chiesa. Meditazioni sulla Lettera agli Efesini)

Per gentile concessione della casa editrice Ancora.