La Chiesa ripensa se stessa. Come farlo senza la donna?

Quando ci si accosta al mistero di Dio ci si accosta da uomo o donna ed allora affiorano sfumature, spazi e interrogativi diversi che collaborano alla costruzione del comune cammino di pellegrini nella storia. È questione di comunione non di funzionalità o di opportunità. La teologa deve poter pensare serenamente e potersi confrontare apertamente con il teologo

Finalmente! È risuonata, finalmente, una parola autorevole che autorizza una realtà di fatto che, a tutt’oggi, sembra rotta da sottomarino che si inabissa al momento opportuno, scompare ed affiora quando il radar segnali panorami tranquilli.

Se diamo la stura ai “perché?” che costellano la storia delle donne teologhe riempiremmo files pesantissimi, archiviati senza lettura e incidenza.

Non è la rotta corretta per passare da sottomarino a barca a vela che solchi i mari senza timori d’intercettazioni o affondamenti.

La teologia come scienza, come fede riflessa, ha bisogno della persona umana: uomo o donna. Se la Commissione internazionale teologica nel suo Statuto ritiene suo preciso compito “studiare i problemi dottrinali di grande importanza, specialmente quelli che presentano aspetti nuovi, e in questo modo offrire il suo aiuto al Magistero della Chiesa”, risulta ben chiaro che i problemi dottrinali si possono affrontare da donne e da donne captare gli aspetti nuovi, sempre dall’angolatura femminile.

I ruoli culturali quindi all’interno della vita della Chiesa – che Chiesa non è senza la presenza viva e attiva delle donne – si ampliano e possono palesarsi distintamente. Il discorso non suona di genere ma di competenza scientifica, rigorosamente fondata.

La teologa deve poter pensare serenamente e potersi confrontare apertamente con il teologo. Non vale la frase fatta “siamo pari”. Non è la parità che cerchiamo ma la complementarietà, basata sulla differenza delle due persone: uomo e donna che pur scrutando la Parola, diretta dal Creatore ad entrambi, suscita reazioni e risposte diverse, seppure analoghe.

Quando ci si accosta al mistero di Dio ci si accosta da uomo o donna e allora affiorano sfumature, spazi e interrogativi diversi che collaborano alla costruzione del comune cammino di pellegrini nella storia. È questione di comunione non di funzionalità o di opportunità.

Se nella Chiesa la donna è presente, ne consegue che pure nell’ambito teologico possa essere presente.

Bisognerebbe rileggere la rotta tracciata dalle pagine teologiche di “Donna Chiesa Mondo” e collocarsi in quello che Sequeri denomina lo “snodo epocale”, perché la Chiesa è chiamata dalla società a ripensare se stessa. Come farlo senza le donne?

Uomo e donna nell’immagine di Dio che si rivela hanno una distinzione e un ruolo di fondamento. Le relazioni però si devono creare fra redenti e le reciproche relazioni devono farlo apparire: accenti di rivendicazione, di ideologia, di liberazione sono del tutto fuori posto quando non dannosi.

Chiaramente è una sfida, non tra nemici ma tra persone, differenziate sessualmente, che compartecipano fontalmente e originalmente alla stessa missione di Gesù.

Dire relazione significa dire volto, presenza dell’altro che, per il solo fatto di esistere, consente all’interlocutore di esistere a sua volta, di ritrovarsi, di riconoscersi; gli sguardi possono intrecciarsi, richiamarsi, dirigersi verso lo stesso obiettivo con segnali, soccorsi, luci reciproche.

Se gli sguardi sono collocati nel volto del potere, il messaggio evangelico perisce immediatamente, come sempre quando è in gioco una supremazia, presunta o reale.

Permeati invece di empatia espandono una corrente che corrobora e conduce nella totale parresia, cioè nella franchezza e nella rigorosità scientifica, al punto in cui non esiste rivalità e si afferma la collaborazione fattiva e complementare.

Gesù stesso non si è venduto al potere, non lo ha proclamato e non ne ha fatto la sua bandiera. Ha optato per un’altra strada: l’annuncio, la testimonianza. Così ha polverizzato lo stesso potere. Sta a noi, insieme, trovare la modalità in cui declinarlo oggi.

Il piano universale di salvezza, di redenzione, non richiede la decorazione femminile, “le fragole” di cui parla Francesco, la donna può, teologicamente, contribuire alla crescita umana come è tipico della sua natura ed esigere che la pasta sia fermentata da un lievito in cui teologo e teologa collaborino in armonia.

Nell’apertura, non teorica o astratta, ma ai volti concreti, che non si affrontano ma si incontrano. Essenziale appare l’importanza dell’ascolto. “Figlio dell’uomo – disse il Signore al profeta Ezechiele – tutte le parole che ti dico ascoltale con gli orecchie accoglile nel cuore” (Ez 3,10).

Se il teologo “è innanzitutto un credente che ascolta la Parola del Dio vivente e l’accoglie nel cuore e nella mente”, non si può declinare anche al femminile?

Teologia: con cuore e mente di donna e cuore e mente di uomo.