La catena dei Braccialetti (rossi)

Trovata la chiave giusta per raccontare storie “esemplari” di giovani malati

I ragazzi sono cresciuti e molti di loro sono finalmente usciti dall’ospedale, ma resta la loro amicizia, segnata dai “Braccialetti rossi” (Rai 1), che avevano deciso di portare per caratterizzare la loro unione. È in onda la seconda serie della fiction che ha portato in prima serata le storie di un gruppo di bambini e giovani alle prese con il cancro e altre patologie non facili da trattare.

La produzione racconta le vicende di un gruppo di ragazzini che affrontano a viso aperto le loro malattie e che, fra una terapia e l’altra, cercano di vivere una vita come tutti i loro coetanei più fortunati dal punto di vista della salute. Nell’edizione dello scorso anno, gli ascolti sono saliti di puntata in puntata decretando un successo di pubblico che probabilmente non era affatto scontato nemmeno per gli sceneggiatori della fiction.

La produzione è la versione italiana della serie catalana “Polseres vermelles”, ispirata alla vera storia dello scrittore spagnolo Albert Espinosa, guarito dal cancro dopo 10 anni, che ha raccontato la sua esperienza in un libro. Nella prima stagione, la serie seguiva le vicende di Leo, Vale, Cris, Davide, Toni e Rocco che, trovandosi ricoverati in ospedale per diverse patologie, stringono amicizia fra loro e decidono di fondare il club dei “Braccialetti rossi”.

Il racconto avviene dal punto di vista di Rocco, un ragazzino di 11 ani in coma da 8 mesi a causa di un forte impatto con l’acqua in seguito a un tuffo dalla piattaforma di una piscina pubblica, esito di una scommessa con ragazzi più grandi. Dopo alcune vicissitudini personal-sanitarie, alcuni dei ragazzi tornano a casa. È proprio Rocco, risvegliatosi dal coma, a salutare gli spettatori alla fine della prima serie.

Per ritrovarli nella seconda, in cui Rocco stesso e Leo sono gli unici due protagonisti a essere ancora fra le mura dell’ospedale. Vale è tornato a casa, ma è talmente abituato alla vita in ospedale da faticare non poco a inserirsi nel normale flusso dell’esistenza domestica. Crist è tornata a scuola, Toni ha ripreso a lavorare nell’officina del nonno, il quale verrà ricoverato costringendo “il Furbo” a tornare in ospedale (cosa che non gli dispiacerà affatto). Cambio di status anche per Davide “il Bello”, che farà sentire la sua presenza agli amici sotto forma di angelo. Nel corso della serie, si svilupperà l’integrazione del vecchio gruppo con i nuovi arrivati Nina, Bea, Chicco e Flam, che beneficeranno della forza dell’amicizia in virtù della nuova catena di Braccialetti.

Se il microcosmo dell’ospedale è percepito dai protagonisti e dal pubblico come rassicurante nonostante tutto, quello esterno risulta assai più spaventoso, probabilmente perché privo di quella rete di protezione, di amicizia e di complicità che i ragazzi hanno saputo costruire fra le corsie sanitarie. A voler essere ipercritici, qualche eccesso di retorica qua e là si rileva senza fatica, ma nel complesso autori e sceneggiatori sembrano aver trovato la chiave giusta per raccontare storie “esemplari” di giovani malati.

Gli ascolti sono progressivamente saliti nel corso della prima stagione, dai 5.300.000 spettatori ai 7.231.000 dell’ultima puntata, mentre la serie attuale ha fatto registrare nella prima puntata un ascolto di 6.683.000 spettatori, superiore alla media dello scorso anno (6.210.000). Significa che il pubblico ha apprezzato la proposta, non facile sulla carta, di raccontare le malattie – anche le più drammatiche – attraverso il linguaggio della fiction. Che, al netto della traduzione letterale, non è in realtà quello della “finzione” ma quello della “verosimiglianza”: si raccontano situazioni ordinarie, che hanno protagonisti credibili, in cui chiunque abbia attraversato una situazione simile può riconoscersi, al di là delle declinazioni specifiche lasciate alla fantasia del racconto da parte di un comatoso.