La cappella di san Vincenzo Ferrer e della beata Colomba

Durante il Giubileo straordinario della misericordia, papa Francesco esorta tutti noi alla conversione del cuore, testimoniata attraverso le opere. Espressione sublime di Dio, anche la misericordia, come la bellezza secondo Sant’Agostino, è tanto antica e sempre nuova: e proprio nelle espressioni dell’arte sacra si è manifestata nel corso dei secoli così da essere motivo di meditazione ed esempio di comportamento per i fedeli.

Nelle nostre chiese troviamo i segni materiali che hanno dato forma e decoro a questa essenziale virtù del buon cristiano.

Nel corso di questo tempo di grazia, proveremo a rintracciare ed analizzare sia sotto il profilo storico-artistico sia sotto il profilo catechetico le più significative tra le molteplici espressioni artistiche che hanno declinato con sensibilità ed efficacia il tema della misericordia.

Iniziamo il nostro itinerario d’arte e di fede dalla Cattedrale di Santa Maria Madre di Dio.

Viscardi2Varcata la soglia della Porta Santa, volgiamoci a destra, verso la cappella di San Vincenzo Ferrer e della beata Colomba, rimasta sostanzialmente integra nel suo sobrio assetto dalla prima metà del Settecento, quando il vescovo domenicano Antonino Serafino Camarda la elesse per la propria sepoltura.

Il lungo episcopato di monsignor Camarda, durato un trentennio dal 1724 al 1754, fu duramente segnato dalla crisi determinata dai terremoti che si susseguirono a lungo provocando lutti e danni ingenti anche al patrimonio architettonico della Chiesa reatina.

L’impegno prioritario del vescovo si concentrò dunque sulla ricostruzione delle coscienze e delle comunità, a cominciare dal riassetto delle chiese finanziato addirittura mediante il frazionamento del vestibolo del palazzo della Curia in piccole unità da dare in affitto ad artigiani e mercanti. Per la propria sepoltura non volle cenotafi né monumenti di pregio, ma solo una lapide sul pavimento della cappella. Affidò però ad artista locale di buona fama, il reatino Giuseppe Viscardi, architetto e pittore, il compito di evocare per imagines il senso più autentico del suo impegno di maestro e pastore attento ai bisogni morali e materiali del popolo dei fedeli.

La bella tela dalle imponenti dimensioni si sviluppa su tre distinti registri, le cui immagini guidano lo sguardo e il sentimento dell’osservatore dalla terra al cielo.

Nel primo registro, su un paesaggio livido e desolato, sono raffigurati i corpi ormai esanimi di un uomo, una donna, un bambino: un’intera famiglia ad essere falcidiata dal morbo che contagia anche chi è scampato alla violenza del terremoto.

Nel registro centrale, ecco rappresentata l’opera misericordiosa dei superstiti che ricompongono i cadaveri e s’impegnano ad assicurare la sepoltura in terra consacrata.

A questo impegno, certo arduo e complesso in tempo di crisi, allude la presenza dei giovanetti con il cero acceso che accompagnano i due uomini vigorosi che con dignitosa compostezza compiono il loro pietoso ufficio.

Nel terzo registro, su una soffice nuvola bianca, attorniati da un volo d’angeli, San Vincenzo Ferrer e la beata Colomba da Rieti, due tra i seguaci dell’Ordine dei Predicatori ad essere invocati come intercessori e patroni nelle frequenti, drammatiche epidemie che falcidiarono la popolazione tra medioevo ed evo moderno.

Il tema didascalico-devozionale assegnato dal vescovo messinese all’artista reatino dagli ascendenti di Leonessa, dunque di un territorio particolarmente colpito dai terremoti della prima metà del Settecento, è sviluppato così con singolare efficacia, conferendo valore esemplare alle opere di misericordia che soccorrono i bisogni delle persone più fragili ed esposte alle difficoltà e ai drammi dell’esistenza terrena.