Cultura

La biografia di Renato Zero, il mercante di stelle tra provocazioni e fede

In una ricca biografia appena uscita per Giunti la genesi dei 450 brani del firmamento artistico del cantante romano: aneddoti, curiosità e retroscena tra valenza sociale e carica spirituale

Sono circa 450 le canzoni che Renato Zero ha inciso dal suo debutto nel ’67 a oggi. Eppure, studiarle una ad una per scoprirne significato, storia, caratteristiche non è per nulla noioso. Perché Renato Zero, che dei suddetti 450 titoli è stato quasi sempre autore con l’eccezione di azzeccatissime scelte da interprete puro ( Il carrozzone rifiutata da Gabriella Ferri o I migliori anni della nostra vita rifiutata – si dice – da Mia Martini e Giorgia), non è mai stato solo un divo-maschera fra lustrini e costumi, volute provocazioni e sardoniche ironie. Renato Zero ha sempre avvertito, fin da quando adolescente a Ventotene compose faccenduole intitolate Morire qui o Il cielo, una profonda e verace esigenza di raccontare e raccontarsi, in musica e sul palco.

Raccontare soprattutto le periferie, i marciapiedi, gli ultimi, un’Italia di valori via via sempre più screditati da un supposto progresso. E raccontarsi, dentro una forma-canzone scelta in una lunghissima gavetta fra Don Lurio, Fellini e persino Ruzante, da persona dotata di un pensiero proprio, da individuo certo ribelle ma profondo, da artista ben conscio della quotidianità e diverso, in fondo, soprattutto nella misura in cui è stato sempre voglioso di trovare un senso (anche con la maiuscola) a sé, a quanto aveva e ha attorno, alla vita. Contro stereotipi, convenzioni, mode, razzismi di differenti epoche e varia natura.

Non c’è insomma solo il famoso/famigerato Triangolo, nella storia discografica di Zero; che poi quel brano era un’esca certo furba ma non banale quanto poteva sembrare, come del resto Mi vendoera oltre le apparenze: j’accuse sia al mercato del disco che a un consumismo già, nel ’77, quasi ideologia. Nel canzoniere zeriano già nel ’74 appare Mani, nata – racconta Renato – «dal vedere Santa Maria della Pietà a Roma, ovvero il manicomio di allora, dove si strappavano i malati alla follia usando elettrochoc e abusi, che certo non curavano nessuno».

È del ’76 Una sedia a ruote per dire che anche i disabili sanno, possono, devono amare. È dell’87 Telecomando che anticipa persino la coppia Gaber/Jannacci de La strana famiglia (uscita qualche anno dopo) contro Tv del dolore e piccolo schermo che propaga ideali finti e modelli negativi. Ed è da subito che Renato Zero canta contro la droga: nemico vile di troppa gioventù ch’egli nel tempo aiuterà anche concretamente a rialzarsi dentro e fuori le sue utopie di Zerolandia e Fonopoli. Contro la droga è Uomo, no! del ’78, poi ancora Non passerà nell’81, indi pure L’altra Biancanel ’93. Mentre Digli no del ’94 è tuttora attuale contro femminicidi, sessismo, violenza alle donne. E La medicina (2001) è una delle rarissime canzoni italiane che osano scavare in un malessere chiamato depressione.

Ci sono davvero tanti valori, e tante storie, nella musica di Renato Zero. C’è Rose, anti-convenzionale canzone sulla figura materna nata quando mamma Ada Fiacchini s’ammalò di Parkinson nell’89: e anche perciò, Renato pensò di ritirarsi dalle scene – per starle accanto – e andò a Sanremo con Spalle al muro a gridare che anche malattia e vecchiaia meritano dignità e rispetto. Un tema, questo, che da lui dilatato all’ennesima potenza per cantare pure malati terminali, anoressici, bulimici, malati mentali, venne proposto su disco e palco da Zero anche nel brano Nei giardini che nessuno sa. Dicendone: «Queste sono le canzoni che vanno scritte. Spesso frequento la Fondazione Santa Lucia a Roma, dove viene praticata la riabilitazione per chi ha subito incidenti gravi, e sono queste ore, non altre, a nobilitarmi come persona».

Ma Renato Zero ha portato a tantissimi, grazie al successo della sua innovativa arte cantautorale, pure la fede: una fede vera, imparata da bambino anche tramite numerose figure familiari e messa al centro del suo discorso sin da subito, da quella Sogni nel buio che nel ’73 segnò il suo debutto su album condannando l’aborto, nonché dalla già citata Il cielo che Zero scrive adolescente, pubblica nel ’77 e lo rende icona ben più del Triangolo, sempre cantando contro l’aborto ma pure di Dio. «E certo che si parla di spiritualità nel Cielo » disse, già stanco di tante etichette, Renato all’epoca. «Perché solo il cielo ci consente di renderci conto di quanto siamo piccoli, perché un uomo meschino non sopravvivrà a lungo, perché la vita è un dono».

Negli anni, Zero ha poi cantato la fede a Sanremo in Ave Maria, in canzoni decisive per i suoi fan-sorcini come Potrebbe essere Dio, nella recentissima È l’età (edita l’anno scorso in ZeroSettanta) e in inni alla preghiera come risposta al degrado ( L’ultimo guerriero del ’94, «perché per ricostruire serve la rabbia, ma serve pure l’amore »). Al netto di qualche divertissement e di denunce a tratti colorite nonché spesso ingannevoli ( Baratto, per dire), la Zerofollia, se indagata, pare insomma proprio una gran bella malattia. E ripassare 450 canzoni di Zero o giù di lì non è certo tempo perso come non lo è ascoltare i dischi di Zero, seguire i suoi spettacoli, respirare l’aria da famiglia del suo pubblico. Perché in fondo da Renato Zero si va, anche noi, per raccontarci e farci raccontare.

Per capirci. Per trovare Il cielo dentro l’orizzonte più scuro. Come Renato ci ha detto parlando di Stai giù, brano dell’anno scorso che sintetizza sia quanto dà e ha dato, Zero, agli altri, sia il senso del suo scrivere. «Canto contro gli assenti ingiustificati. Contro chi diserta battaglie decisive per il mondo e per la comunità. Chi è nato e cresciuto come me nei quartieri popolari, è stato preservato dalla capacità di reagire alle storture sempre, senza pigrizie. Dunque, canterò sempre: su la testa». Da vero Mercante di stelle, vien da scrivere riandando a come una bella canzone del ’97 abbia battezzato Renato Zero. Ovvero da artista che tramite l’arte rende un servizio alla società, da uomo che agli altri uomini impone di reagire cantando, nella vita, «Imbroglialo anche tu / quel buio che non ha / la nostra fantasia, la nostra libertà». Perché “mercanti di realtà” e basta, si muore. Renato Zero, questo l’ha capito sin da ragazzo; e sono tanti quelli che grazie a lui e alle sue canzoni non hanno ceduto al buio, in qualunque forma si presentasse loro.

da avvenire.it