La battaglia legale di nonno Costner

In “Black and White”, il conflitto per l’affidamento della nipote mulatta

Kevin Costner torna al cinema in una veste inedita. Lo sguardo magnetico e gli occhi azzurri sono gli stessi, ma sono passati gli anni da sex symbol e arrivano quelli della maturità. In “Black and white” Costner è un nonno che inizia una battaglia legale per ottenere l’affidamento della sua nipotina mulatta. Una guerra di sentimenti che dovrà combattere contro la famiglia paterna della bambina, guidata da un’agguerrita giovane nonna.

Un film di Mike Binder che aveva già diretto Costner in “Litigi d’amore” e come per quella pellicola anche qui siamo di fronte ad un dramma misto a momenti da commedia, che punta tutto sull’appeal e sulle capacità interpretative del suo protagonista. L’avvocato Elliot Anderson ha appena perso la moglie in un incidente d’auto, qualche anno dopo la morte della loro amata figlia diciassettenne nel dare alla luce una bambina, Eloise. Come se non bastasse, la nonna paterna di Eloise, Rowena, si fa avanti per chiedere la custodia della piccola, e nonno Elliott dovrà lottare con tutti i mezzi legali per tenere con sé quella nipotina che è tutto ciò che gli resta della propria famiglia. Aggiungiamo che Elliot, dalla morte della figlia, alza un po’ troppo il gomito, che il padre di Eloise è un drogato che cerca di avviarsi alla disintossicazione, e che la famiglia paterna della bambina è afroamericana: dunque l’avvocato di Rowena, che è anche suo nipote, cercherà di inquadrare la situazione come il sopruso di un vecchio ricco e bianco contro un giovane povero e nero.

La pellicola, dunque, oltre a raccontare una storia emotivamente forte (il rapporto complesso ma fortissimo tra un nonno e la nipotina, la difficoltà di affrontare i drammi che la vita ci pone di fronte, la forza che solo il nucleo familiare può offrirci) è anche un legal thriller sui rapporti interraziali a Los Angeles, e in generale negli Stati Uniti. Potrebbe sembrare inutile ormai, in un’America che ha per presidente un uomo di colore, raccontare ancora storie che riguardano il problema razziale. Ma i fatti di cronaca (come l’uccisione di un giovane ragazzo nero disarmato da parte di un poliziotto bianco nella cittadina di Ferguson) mostrano come ci sia, purtroppo, ancora bisogno di affrontare queste problematiche e questo film, come il recente Selma (che rievoca un momento fondamentale nella marcia dei diritti dei neri, portato avanti da Martin Luther King) sembrano essere più che mai necessari.

Il regista crea dialoghi credibili e le dinamiche fra i personaggi sono delineate con attenzione, anche se il rischio di cadere nello stereotipo e nel melenso è sempre dietro l’angolo. Il più delle volte è l’interpretazione di un intenso Kevin Costner a salvare il film da questo rischio. L’attore, infatti, qui anche produttore, si rivela sorprendentemente sottile e disposto a mettere in mostra la propria fragilità, e porta sulle spalle tutto il film, senza cedere terreno nemmeno alla fisicità irresistibile di Octavia Spencer, la nonna paterna, che troppo spesso viene utilizzata in ruoli stereotipati e che qui invece è misurata pur nell’irruenza del suo personaggio. È una rinascita per l’attore americano, che, nella sua carriera, ha conosciuto un successo immenso per i suoi ruoli da divo rude e affascinante, ma che ha sperimentato anche il baratro del silenzio, col rischio di essere dimenticato. Alla fine della pellicola a vincere è la disponibilità a parlarsi al di là dei rispettivi pregiudizi, a cercare il meglio l’uno dell’altro e a fidarsi a vicenda, per costruire una grande, unica, conciliata, famiglia multirazziale.