Joyce, Roma e la messa

1104 pagine. La colossale raccolta Lettere e saggi, pubblicata da Il Saggiatore, è un imponente guida per provare a capire il grande scrittore irlandese James Joyce. Quasi un’autobiografia per pensieri e corrispondenze, nella quale gli appassionati potranno perdersi come in un’inesauribile miniera d’oro. Noi ci limitiamo ad evidenziare due citazioni che riguardano la capitale d’Italia e il senso della scrittura per Joyce.

Nel 1906 lo scrittore era a Roma in periodo di forte crisi esistenziale in cui non riusciva a scrivere. È quindi un Joyce arrabbiato quello che, in una lettera al fratello, paragona l’Urbe «a un uomo che si mantenga col mostrare ai viaggiatori il cadavere di sua nonna». Con la nostalgia di casa e del precedente viaggio a Parigi, questo giudizio intimo riflette forse lo stato d’animo dell’artista, più che la sua reale opinione sulla città eterna.

Il lungo viaggio permesso da questa raccolta permette di ricostruire la storia e la poetica di uno dei più grandi scrittori del ‘900. Ed è un altro brano tratto dalle lettere al fratello a illuminare la sua opera. Joyce trova somiglianze tra il suo lavoro e la messa: «sto cercando di dare alla gente una specie di piacere intellettuale o di gioia spirituale trasformando il pane della vita quotidiana in qualcosa che abbia una propria vita artistica permanente». Anche la letteratura più raffinata e ‘difficile’ nasce dalla grandiosa profondità delle piccole cose.