Israele al voto: verso l’unità nazionale

Centro-destra coeso. Sinistra ancora divisa. La novità e l’alternativa del movimento dei coloni di Bennet.

Il 22 gennaio si vota in Israele. Una tornata elettorale che acquista ulteriore significato anche alla luce dei precari equilibri politici dei Paesi confinanti, quali Libano e Giordania. Per non parlare delle tensioni in Egitto e della crisi siriana. La campagna elettorale in Israele ha mostrato, secondo numerosi analisti, una sola novità, a destra: l’ascesa del quarantenne Naftali Bennett, nato ad Haifa da genitori americani, capo del Partito HaBayit HaYehudi (The Jewish Home), erede del vecchio Partito Nazionale Religioso e, a suo tempo, leader di Yesha, il movimento delle colonie. Bennet, infatti, è il rappresentante di quei coloni, soprattutto quelli di ritorno dagli Usa, che hanno preso il posto dei cosiddetti kibbutznikim, i figli d’immigrati dall’Europa dell’Est, dalle cui fila sono emersi ufficiali, deputati e ministri, pronti a combattere ma anche a dialogare quando vi era la possibilità di parlare di pace. Sul voto in Israele proponiamo l’analisi di Janiki Cingoli, direttore del Cipmo, il Centro italiano per la pace in Medio Oriente (www.cipmo.org).

Blocco centro-destra.

“A pochi giorni dalle elezioni – osserva Cingoli – le tendenze vanno consolidandosi. Il blocco di centro-destra viene dato, nell’ultimo sondaggio del quotidiano Haaretz, a 63 seggi (su un totale di 120 della Knesset), mentre il centro-sinistra è dato in ripresa a 57. La forbice, dunque, pare restringersi, anche se altri sondaggi danno alla destra un margine di vantaggio più alto”. All’interno dei due blocchi, i partiti maggiori si presentano molto distanziati: Likud-Beytenu, il blocco formato dal Likud di Netanyahu e da Yisra’el Beytenu, il partito del ministro degli Esteri Lieberman, viene dato a 32-34 seggi (con una forte caduta rispetto ai 42 su cui potevano contare nella passata legislatura), mentre il Labour, diretto da Shelly Yachimowich, oscilla tra 17 e 18 seggi. Tuttavia, afferma il direttore del Cipmo, “la decisione di Netanyahu e Lieberman di confluire in una sola lista era stata dettata probabilmente dalla volontà di ottenere il risultato più forte, in modo da garantirsi l’incarico di formare il governo da parte del presidente Shimon Peres, ma la flessione, pur tradizionale in questi tentativi di fusione, è andata al di là delle previsioni”.

La novità Naftali Bennet.

Ma i due leader di Likud e Beytenu, sostiene Cingoli, “hanno anche sottovalutato la concorrenza di Naftali Bennet, che si è contraddistinto per le sue drastiche posizioni sul conflitto israelo-palestinese, proponendo di annettere a Israele tutta l’Area C, pari al 62% della Cisgiordania, affidare Gaza all’Egitto e confinare l’Autorità Palestinese nella parte restante, il 38% della Cisgiordania, sotto il controllo dell’esercito israeliano”. Posizioni che fanno guadagnare al suo partito, stando ai sondaggi, 13-14 seggi. Il Partito religioso sefardita Shas, di Aryeh Deri, è accreditato di 11-12 seggi. A Shas fa concorrenza “Yesh Atid”, il partito fondato lo scorso anno da Yair Lapid, popolare anchorman televisivo, “dalle posizioni rigorosamente laiciste”, che “pone una pregiudiziale: la richiesta di richiamare sotto le armi o al Servizio Civile sostitutivo tutti i giovani religiosi delle Yeshivot (le scuole talmudiche), che fino ad ora, in base alla legge Tal, oramai abolita dalla Corte Suprema, ne erano stati esentati”. Gli vengono attribuiti 12 seggi. Quanto a Tzipi Livni (già leader di Kadima, piombato ora nelle previsioni da 28 a 2 seggi), il suo partito, HaTnuah (The Movement), afferma Cingoli, “pare essere scivolato negli ultimi giorni, attestandosi sui 7-8 seggi, e i suoi tentativi di riportare al centro del confronto i temi legati al processo di pace paiono essere rimasti infruttuosi”.

Partiti di centro-sinistra.

Se si fossero presentati insieme, superando rivalità e pregiudiziali, “avrebbero potuto aspirare – questa la convinzione dell’esperto – a 35-40 seggi, e quindi contendere il primato di Netanyahu. Ma ogni tentativo d’accordo è risultato vano, con Lapid che chiedeva di dichiarare fin d’ora disponibilità a entrare nel governo Netanyahu, dandone per scontata la vittoria; la Livni che non lo escludeva ma si riservava di verificare i risultati elettorali (anche se ora pare volersi imbarcare anche lei); e la Yachimowich che a nome dei laburisti dichiarava di voler restare comunque all’opposizione. Una confusione, di cui pare inopinatamente destinato ad avvantaggiarsi lo storico partito della sinistra sionista, il Meretz, che secondo le previsioni dovrebbe raddoppiare i suoi seggi da 3 a 6, mentre i partiti arabi restano sostanzialmente stabili”. Concludendo, secondo Cingoli, “l’ipotesi che viene data come più probabile è un Governo di unità nazionale, che inglobi almeno alcuni dei partiti centristi. Difficile, ma in Israele ‘mai dire mai’”.