Iraq: il Papa chiede ai governi di assumersi responsabilità

L’appello di Papa Francesco ad intervenire in Iraq “per fermare l’aggressore ingiusto” ha “il merito di aver lanciato un sasso nello stagno e di aver smosso le coscienze. Ma c’è bisogno che tutti i governi assumano le proprie responsabilità in questi conflitti, altrimenti degenerano. Mettere le mani in pasta per affrontare questa situazione e tutti gli altri conflitti dimenticati del mondo è una azione doverosa”. Lo afferma oggi al Sir Paolo Beccegato, vicedirettore di Caritas italiana e responsabile dell’area internazionale, che sottolinea tre aspetti “assolutamente condivisibili” della posizione del Papa, espressa durante il volo di ritorno dalla Corea: “Le guerre non sono più legate a un singolo Paese, ma c’è un filo rosso che collega il conflitto in Siria con l’Iraq, la situazione curda e l’Iran. Il Papa dice con parole forti che è una guerra internazionale che può essere fermata solo dalla comunità internazionale”. “Come in tutte le guerre – prosegue -, se i legami con l’estero, ossia con chi alimenta il confitto con armi, truppe, logistica e supporti, venissero meno, le guerre si estinguerebbero come un fuoco che non ha più ossigeno”. Il secondo aspetto è la sottolineatura del Papa “del diritto-dovere di intervenire, ossia la ‘responsabilità di proteggere’ già codificata dalla Carta dell’Onu”, quando “un potere non garantisce il rispetto delle minoranze o massacra la popolazione civile”.

Il terzo punto è il suggerimento del Papa di “prendere questa decisione insieme, non in maniera unilaterale da una singola nazione. Altrimenti diventa una responsabilità di una singola nazione che a sua volta è presa di mira perché ha fatto una azione unilaterale: così si crea una catena di violenze. Siccome sono tutte situazioni estremamente complesse dove non c’è una verità, ma tante luci e ombre, le soluzioni devono essere condivise, coinvolgendo tutte le parti: chi detiene il potere, le comunità di base, i leader religiosi. Non si può lasciare il tavolo delle trattative finché non si trova una soluzione”. “Noi da tempo – ricorda il vice direttore di Caritas italiana -, tramite le Caritas in Iraq, in Giordania, in Siria, ecc. diciamo che la situazione non è più sostenibile, che ci sono esodi di profughi di proporzioni bibliche. Questi appelli non sono presi in considerazione adeguatamente dalla comunità internazionale, oppure si interviene solo troppo tardi”. In Iraq – osserva Beccegato – “l’Isis sta commettendo atrocità mai viste, ma non è che in Siria siano stati commessi fatti meno gravi”. In ogni guerra “è veramente difficile dire chi non si sia macchiato di crimini contro l’umanità: sostanzialmente nessuno. Più della metà della popolazione siriana, 10 milioni su 20 milioni di abitanti, in tre anni e mezzo ha dovuto lasciare le proprie case. Eppure la comunità internazionale ha abbandonato il campo, dicendo che la crisi è insolubile”.

In realtà, ribadisce Beccegato, “il motivo è che ci sono legami internazionali che alimentano la guerra. Siamo tutti corresponsabili di questi conflitti, che vanno avanti perché ci sono collegamenti che non vengono recisi. Si preferisce far soffrire la popolazione piuttosto che trovare un accordo, facendo ciascuno un passo indietro”. La novità dell’appello del Papa, continua, è aver detto “con grande chiarezza e forza un tema già affrontato dall’inviato in Iraq card. Filoni e da mons. Tomasi all’Onu e già codificato dal diritto internazionale. Speriamo che tutte le parti lo ascoltino”. “Se i cristiani oggi sono perseguitati – puntualizza – questo non è un fatto unico e nuovo ma è collegato agli altri conflitti precedenti. Se facciamo la ricostruzione storica di tutte le responsabilità di ogni singola nazione, dall’11 settembre 2001, poi l’operazione militare Usa in Iraq 2003 e l’Afghanistan, vediamo che le responsabilità sono di tantissimi attori. Ecco perché nessuno può dire di essere completamente nella ragione e altri nel torto. La soluzione va trovata attraverso il consenso di tutti gli attori”. Riguardo alla annunciata disponibilità di Papa Francesco a recarsi in Iraq osserva: “Come è successo in altre occasioni Papa Francesco non teme di assumersi personalmente la responsabilità di alcuni gesti. È chiaro che come è accaduto a Gaza, il Papa dà un ottimo esempio, ma se non viene seguito rimane solo un esempio”.