Il lungo inverno dei cristiani di Erbil

“Genocidio, crimine contro l’umanità”. Sono due espressioni risuonate in questi giorni ad Assisi, dove i vescovi sono riuniti per l’Assemblea straordinaria dedicata alla vita e alla formazione del clero. Ad usarle per primo il cardinale Bagnasco, che nella sua prolusione di apertura ha usato parole forti – perlopiù ignorate dal circuito dei “grandi media” – per tener desta l’attenzione sul terribile disegno di eliminare ogni traccia della presenza dei cristiani in Medio Oriente, perseguito con pervicacia devastante e barbarie disumana dall’Isis.
“Genocidio, crimine contro l’umanità”. Parole che pesano come un macigno, ma che nello stesso tempo, per una paradossale conseguenza, rischiano di scivolare lisce sulla coscienza di tanti, cancellate o forse inconsciamente rimosse perché risucchiate dall’indifferenza alle sventure altrui o dall’assuefazione alle dosi sempre più massicce di violenza propinata quotidianamente agli spettatori del circuito mediatico.
“Genocidio, crimine contro l’umanità”. A spiegarne il peso specifico, tragicamente reale, è stato l’arcivescovo caldeo di Erbil, monsignor Bashar Matti Warda, invitato dai vescovi italiani a prendere la parola in un’aula eccezionalmente aperta ai giornalisti per raccontare del primo inverno dei 125mila profughi che rischiano di essere dimenticati dall’opinione pubblica internazionale, dopo essere stati perseguitati e scacciati dalle loro terre a causa della loro fede.
È dal 7 agosto 2014, alle ore 19 – dice il vescovo caldeo con un’esattezza chirurgica che la dice lunga su come questa data resterà scolpita nel suo cuore – che Erbil ha aperto le porte delle Chiese, degli oratori, delle scuole, delle parrocchie, dei giardini. Non solo per i fratelli cristiani perseguitati, ma anche per le famiglie jazide che bussano alla porta a causa dell’assenza del governo di Baghdad. La domanda più ripetuta dai ragazzi: “Quando finisce questa tragedia e torniamo nelle nostre case?”. Per rispondere il vescovo non si rifugia nei giri di parole, ma va dritto al punto: “Non ci sono indizi incoraggianti per una soluzione immediata”. Anzi, “ci vorranno anni”. Intanto ad Erbil l’inverno avanza e c’è bisogno di tutto, “è un disastro”, racconta mons. Warda. La solidarietà internazionale dei primi mesi comincia a scemare. Non quella della Chiesa italiana, da subito in prima linea per mostrare solidarietà concreta ai suoi fratelli iracheni: la delegazione della presidenza della Cei è tornata di recente dai campi profughi, un video della Caritas è stato mostrato in anteprima ai vescovi per sensibilizzare sui gemellaggi in corso tra parrocchie e famiglie. La Cei ha stanziato un milione di euro per gli aiuti e 2.300.000 euro per costruire un’università dove possano studiare i tantissimi giovani che non trovano spazio negli atenei del Kurdistan iracheno.
Il “grazie” del vescovo caldeo nei confronti della Chiesa italiana, definita “Chiesa madre”, è sincero e commosso. Come il “grazie” che pronuncerà subito dopo il cardinale Bagnasco “per la testimonianza eroica, coraggiosa e commovente della vostra fede”. “Ne abbiamo bisogno noi occidentali”, aggiunge il presidente della Cei. Così come abbiamo bisogno della “fraternità” tra chiese sorelle, tra vescovi, tra sacerdoti di cui questa speciale “seduta” assembleare ad Assisi, città della pace, è stata testimonianza eloquente e appassionata. “Non servono preti clericali, né preti funzionari”, ha scritto il Papa nel messaggio inviato all’apertura dei lavori. Erbil-Assisi e ritorno. Aspettando Francesco…