Salute

Internet, in adolescenza non si parli di dipendenze patologiche

Federico Tonioni, del Policlinico Gemelli di Roma, intervistato dalla Dire: l'iperconnessione se non crea dolore mentale non giustifica nessun tipo di intervento clinico. Anzi, è quasi un diritto. Servono regole genitoriali per innescare trattative con i propri figli

«Se dovessi fare una diagnosi ai miei pazienti in terapia, dovrei farla ogni 6 mesi, augurandomi che nel frattempo ci siano state delle trasformazioni dentro di loro. È un qualcosa di mobile, mai fisso». Esordisce così Federico Tonioni, responsabile dell’area dipendenze e dell’ambulatorio per la psicopatologia web-mediata del Policlinico Gemelli di Roma, intervistato dalla Dire.

Lo psichiatra, infatti, «non ama parlare di dipendenze patologiche» quando ha a che fare «con gli adolescenti perchè- aggiunge- la loro mente ha il vincolo di diventare qualcos’altro, di crescere, trasformarsi, acquisire un’identità. È simile alla creta fusa, per questo incastonarla in una diagnosi può essere rischioso».

La dipendenza da internet quindi, è «un concetto- a detta di Tonioni- da riflettere molto profondamente, perchè l’iperconnessione se non crea dolore mentale non giustifica nessun tipo di intervento clinico. Anzi, è quasi un diritto». Le generazioni precedenti, «noi immigrati digitali, se avessimo avuto un cellulare da adolescenti lo avremo usato allo stesso modo. Non è vero che non studiano o che si distraggono sul telefono. O perlomeno lo fanno nella stessa misura in cui mi distraevo io». Il reale fenomeno da indagare, dunque, «ed e’ quello di cui ci occupiamo al Gemelli, è il ritiro sociale web-mediato con abuso di gaming».

Dai fenomeni hikikomori e assuefazione da internet al concetto di rabbia, è stretta la connessione e a sollevarla è sempre lo psichiatra. I bambini, ritiene infatti Tonioni, «hanno un’energia che definisco “sana aggressivita” e se non riescono a trasformarla in esperienza la trattengono».

Ma cosa significa fare esperienza per i più piccoli? Tonioni risponde: «Fare una cosa per la prima volta. Quando nascono i bambini non hanno esperienza di nulla quindi il loro mondo è pieno di prime volte». Ma per fare esperienza «hanno bisogno della partecipazione attiva di un adulto vicino, invece sono pieno di mamme che mi dicono “mio figlio davanti al computer non si vede e non si sente”». E così cosa rimane? Dove finisce «quell’energia che li porta a gattonare per la prima volta o a scendere dal letto con le spondine? Diventa rabbia- continua- e se viene proiettata nell’apparato cognitivo è la base dei disturbi dell’apprendimento e delle carenze di concentrazione».

E «non è sfortuna», a detta dello specialista, quando «gli adolescenti e i bambini si ammalano alle feste di Halloween, di compleanno o della scuola. Sono bambini che somatizzano, che accumulano, che trattengono quell’energia che gli serve per fare esperienza». Così, i luoghi dove la rabbia si accumula sono diversi e tra questi ci sono anche i giochi “sparatutto”. Non è vero, infatti, «che questi giochi causano aggressività o ritiro sociale, anzi, aiutano i ragazzi a non perdere l’equilibrio. Li aiutano a mantenere l’unico equilibrio possibile».

Sono tre, dunque, «i cluster che concorrono al mantenimento della stabilità dei ragazzi rispetto alla rabbia: i disturbi dell’apprendimento, l’ammalabilità in occasioni di massima socialità e l’abuso di gaming». È necessario «dare regole ai propri figli – perchè servono per l’acquisizione da parte loro del proprio senso del limite – ma c’è da chiedersi se diamo quella regola per vincere su di loro così da ridurli all’obbedienza». O se invece diamo le regole «per innescare trattative». La trattativa è un qualcosa «di faticoso ma è un modo bellissimo per conoscere i propri bambini. Non possiamo pretendere di non fare fatica con i nostri figli». Anche perchè, conclude, «la trattativa finisce sempre nel punto reciproco di massimo sforzo – un punto che in psicanalisi chiamiamo frustrazione ottimale – attraverso cui anche i genitori possono crescere».

da Dire.it