Indonesia, spiragli fra i musulmani: via la religione dai documenti

L’iniziativa di un politico cristiano, Basuki Tjahaia Purnama, vice governatore della capitale Jakarta, ha raccolto i primi consensi anche nel mondo musulmano. Ahmad Suaedy, coordinatore del Centro per il dialogo interreligioso e la pace Abdurrahman Wahid: “È una buona proposta. Il fatto che sulle carte d’identità sia indicata l’appartenenza religiosa è un motivo per discriminare le minoranze”.

In Indonesia, 247 milioni di abitanti sparsi in 17 mila isole, di fatto il più popoloso Paese musulmano del mondo, vige una regola per cui nella carta di identità è indicata anche l’appartenenza religiosa ad una delle sei religioni formalmente accettate: islam, cattolicesimo, protestantesimo, induismo, buddismo, confucianesimo. Questa piccola postilla, nonostante il clima di tolleranza e dialogo normalmente vissuto tra la gente, può creare delle discriminazioni sui luoghi di lavoro e nelle scuole. Di recente un politico cristiano, Basuki Tjahaia Purnama, vice governatore della capitale Jakarta, ha proposto di rimuovere dalle carte d’identità l’indicazione del credo religioso. In realtà molti appartenenti a minoranze che praticano i culti tradizionali indigeni si definiscono ufficialmente musulmani pur non essendolo. Se la proposta passasse, si ridefinirebbe il volto religioso dell’Indonesia e si eliminerebbero alcune forme di discriminazione. “La questione dell’appartenenza religiosa sulla carta d’identità è indubbiamente molto contestata dai gruppi in difesa dei diritti umani e del dialogo interreligioso – spiega da Jakarta padre Matteo Rebecchi, missionario saveriano cremonese, da quindici anni in Indonesia -. Questa nota sulla carta d’identità effettivamente crea forti discriminazioni nei confronti di chi non appartiene alla lista delle sei religioni accettate. Anche la Corte costituzione ha dichiarato l’elenco delle religioni ufficiali non conforme alla Costituzione, che prevede invece la libertà di credo per tutti i cittadini”. Comunque, precisa padre Rebecchi, “in Indonesia si vive ancora un clima di collaborazione e di tolleranza, in cui il dialogo è possibile. Ci sono molti gruppi composti da persone di diverse religioni che lavorano nell’ambito del dialogo interreligioso e collaborano anche nella difesa dei diritti umani”. Abbiamo parlato con un esponente musulmano di questi gruppi, Ahmad Suaedy, coordinatore del Centro per il dialogo interreligioso e la pace Abdurrahman Wahid (AWCentre-UI).

Il vice governatore di Jakarta ha proposto di rimuovere l’indicazione dell’appartenenza religiosa dalla carta d’identità di ogni cittadino indonesiano. Che ne pensa?

“È una buona proposta. Il fatto che sulle carte d’identità sia indicata l’appartenenza religiosa è un motivo per discriminare le minoranze”.

Spesso i cittadini non musulmani subiscono discriminazioni nelle scuole e nei posti di lavoro pubblici. Questa piccola modifica potrebbe contribuire a sradicarle?

“Sì. La burocrazia e la politica non classificherebbero i cittadini in base a criteri religiosi ma tutti sarebbero trattati allo stesso modo”.

Quali sarebbero i vantaggi, non solo per le minoranze?

“La discriminazione nei confronti delle minoranze attualmente non porta nessun vantaggio alla maggioranza. Invece l’eliminazione dell’appartenenza religiosa dalle carte di identità fornirebbe l’ occasione per una sana competizione tra i cittadini, non basata sulle religioni e sul credo”.

A questo proposito quali sono le posizioni all’interno della comunità musulmana?

“Nella burocrazia, soprattutto la burocrazia religiosa, una politica di questo tipo rappresenterebbe probabilmente una grande sfida. Perché spesso sono i diretti beneficiari di questa discriminazione. Ma generalmente l’eliminazione dell’appartenenza religiosa non credo provocherebbe nel grande pubblico grande opposizione o contestazioni. Perché molte persone non ne beneficiano direttamente, tranne forse la soddisfazione psicologica”.

L’opinione pubblica è pronta per questo passo? C’è un dibattito sui mezzi di comunicazione?

“Non c’è un vero dibattito se non discussioni fittizie. Per molti non è un tema così importante, tranne che per i burocrati, in particolare i burocrati religiosi e i politici, che strumentalizzano la religione per ottenere consensi elettorali”.

Qual è la situazione del dialogo interreligioso in Indonesia?

“A livello di base e tra la gente il dialogo e le relazioni tra le religioni sono molto buone e fioriscono in maniera spontanea. Però negli ultimi tempi, a causa della competizione politica, in una democrazia ancora giovane, molti tendono ad usare la religione come sentimento politico per fare i propri interessi. Inoltre, molti studenti che provengono dal Medio Oriente o dall’Asia meridionale hanno una particolare comprensione dell’Islam, che contribuisce a creare una situazione di conflittualità. Per questo la visione ristretta e l’intolleranza in Indonesia tendono ad aumentare. Il presidente e il governo sono molto opportunisti in materia di religione perciò si cerca di prevenire rigorosamente, ad esempio, la discriminazione religiosa e la violenza”.