Dall’Incontro pastorale le scelte concrete per la Chiesa di Rieti

Diocesi articolata in cinque zone pastorali (Rieti città, Montepiano, Salto Cicolano, Valle del Turano, Altopiano Amatriciano e Leonessano) e Curia in tre settori (Liturgia, Catechesi e Carità). Mobilità degli incarichi nelle parrocchie e negli uffici, riattivazione degli organi di partecipazione e rilancio della comunicazione, con un nuovo sito diocesano e il restyling di Frontiera. Al termine della tre giorni di Incontro pastorale a Contigliano, il vescovo Domenico traccia le linee guida per la Chiesa reatina

L’orologio della torre campanaria segna le 3.36 e una bambina, in braccio ad un soccorritore, che cerca di spostare in avanti la lancetta: è stata la vignetta di un quotidiano l’icona dell’Incontro pastorale. Tre intensi giorni di lavori svolti dal 9 all’11 settembre nel nuovo Centro pastorale di Contigliano senza mai distogliere lo sguardo dal terremoto che tanto duramente ha colpito Accumoli e Amatrice. Un appuntamento che ha visto la Chiesa di Rieti mettersi a confronto con la realtà che la circonda, con le proprie ansie e contraddizioni, con la propria voglia di rinnovamento e futuro.

«Tutto riparte dall’abbraccio di un adulto verso una bambina che sostiene e che solleva» ha spiegato il vescovo Domenico introducendo le sue conclusioni. «La bambina è il simbolo della speranza, della Chiesa, dell’umanità che non si arrende e riprende il cammino. L’adulto dice che accompagnare è ritrovare il legame tra le generazioni».

L’indicazione è chiara fin dall’inizio: è la bambina che si spinge a far ripartire la lancetta dell’orologio perché il compito più importante è destinato ai più giovani: è a loro che bisogna guardare anzitutto. Il terremoto butta giù le case, i tempi che cambiano portano sconquasso nella Chiesa. In entrambi i casi si può ricostruire «solo facendo leva sulla giovinezza anagrafica e spirituale che rinnova il nostro modo di crescere insieme».

Uno sguardo disincantato ma realista

Una fiducia nel futuro che però si fonda su uno sguardo disincantato ma realista. Sollecitate dalle domande puntuali dei sussidi di lavoro, dai dati statistici letti da Nando Pagnoncelli in apertura dei lavori e dalle sollecitazioni avanzate da Chiara Giaccardi nella giornata di sabato, le diverse componenti della Chiesa locale non hanno fatto sconti. I gruppi di lavoro hanno presentato al vescovo l’immagine di una Chiesa divisa, attraversata dalla solitudine, invecchiata, stanca, disorientata. Una Chiesa che non può quasi più contare sulla famiglia per la trasmissione della fede, che vive il rapporto coi ragazzi e i giovani come un problema, nella quale la prassi sacramentale è superata dai fatti. Un panorama nel quale c’è chi tende ad ‘assolutizzare’ la propria esperienza e il proprio ruolo, che vede parrocchie chiuse e asfittiche, abitate da «credenti / non praticanti» e da «praticanti / non credenti».

Una terapia concreta ed esigente

Ma insieme alla crisi c’è anche una forte ansia di rinnovamento. Dall’assemblea di fedeli, sacerdoti, diaconi e religiosi si è fatto avanti il desiderio di ritrovare un cammino comune, che riguarda tutti, che va fatto insieme. Un bisogno sul quale si è innestato l’intervento del vescovo, restando ancorato al terremoto: come fatto e come metafora di «una situazione anomala che rimette a fuoco le ragioni del credere». Una «tabula rasa che si produce con i suoi lutti indicibili», ma che «diventa anche la prova del nove della consistenza delle nostre convinzioni». E con la consapevolezza che l’«io credo» del singolo non basta a raggiungere al «noi» della Chiesa, don Domenico ha indicato le cose concrete da fare, le posizioni da assumere, i cambiamenti da accogliere.

Correre dei rischi per accompagnare

C’è da «arieggiare i nostri ambienti polverosi» ha detto senza mezzi termini il vescovo. Occorre «spalancare le porte a tutti, anche con il rischio di essere strumentalizzati o inutilizzati». Non è tempo di «cenacoli esclusivi, gruppi elitari, cerchi magici»: bisogna provare a camminare con tutti, lasciando a ciascuno la libertà di aderire. E di conseguenza occorre «scendere in strada, sollevarsi dalla comodità del divano, del “si è sempre fatto così” e provare ad abbracciare e a sostenere la vita delle generazioni, a cominciare dai più giovani».

Nelle parole di mons. Pompili si fa avanti l’urgenza di abbattere gli steccati, di superare l’immobilismo, perché «alternarsi, cambiare di posto, spostarsi di parrocchia è una maniera esigente e concreta per camminare». Non ci sono «posizioni di rendita né forme di inamovibilità» da salvaguardare, ma neppure ci può muovere «senza sapere dove e come». Per non essere «né nomadi, né stanziali», il vescovo ha chiamato a tenere presente il contesto, ad appartenere fisicamente, ma soprattutto mentalmente, al territorio.

Ri-costruire: le cinque zone pastorali

Una necessità che trova forma anche in una revisione delle zone pastorali, che diventano cinque, articolate per aree omogee: Rieti città, Montepiano, Salto Cicolano, Valle del Turano, Altopiano Amatriciano e Leonessano.

«Optare per le zone – ha spiegato don Domenico – vuol dire che preti, religiose e laici devono all’interno di questo spazio creare le premesse per un lavoro in comune. Il Vicario non è una figura giuridica, ma un riferimento autorevole e sul campo che fa sintesi delle arie istanze e le sa orientare nel cammino diocesano. Il Vescovo avrà come suoi interlocutori abituali i Vicari di zona. All’interno di ciascuna realtà si creeranno momenti condivisi per alcune priorità: giovani, famiglia, catechesi, carità».

Ri-costruire: gli strumenti di partecipazione

«Gli organismi di partecipazione vanno riattivati» ha aggiunto il vescovo. «Devono farne parte persone di ogni età e sensibilità, con una rappresentanza delle zone pastorali». E per contrastare l’individualismo, bisognerà evitare che ci siano sempre gli stessi volti e che chi parla sia anche chi traduce nel concreto: «opinionisti e teorici non sono richiesti – ha puntualizzato mons. Pompili – ci vuole gente che pensa insieme e poi si impegna personalmente».

Ri-costruire: il rinnovamento della Curia

Ma il rinnovamento non interessa solo l’articolazione sul territorio della Chiesa: anche «gli uffici pastorali e amministrativi devono pensarsi come vasi comunicanti». Ancora una volta lo scopo è la cura dell’insieme. La Curia va articolata su «tre arcate fondamentali: l’evangelizzazione e la catechesi, la liturgia e la preghiera, la carità e la testimonianza». Attorno all’evangelizzazione bisogna collocare i giovani, le famiglie e il consultorio, le vocazioni, le missioni, l’insegnamento della religione. Attorno alla liturgia la musica e il canto, la religiosità popolare, l’arte e i beni culturali, l’edilizia di culto. Attorno alla carità la pastorale sanitaria, quella sociale.

Il tutto sempre pensando che «la mobilità nelle responsabilità è un criterio che decide della giovinezza e non dell’invecchiamento delle nostre proposte».

Ri-costruire: un ufficio per San Francesco

E poi, riprendendo il tema dell’appartenenza, l’idea di puntare sul genius loci con un ufficio ad hoc, pensato per valorizzare il nostro territorio francescano.

«La fede nasce dall’ascolto»

«La fede nasce dall’ascolto» ha ricordato in conclusione il vescovo, rifacendosi all’apostolo Paolo. «Da qui non si scappa. La Parola e, grazie ad essa, i “santi segni” che sono i 7 sacramenti sono l’alfabeto che dobbiamo insieme re-imparare». Ma bisogna “sporcarsi le mani”, superare «un generico senso di socializzazione religiosa che ci lascia come ci trova» cercando di favorire «un contatto diretto con la Parola» che aiuti «a far crescere un rapporto consapevole e responsabile con Dio e con gli altri, fuori del quale si rischia di cadere solo nella routine e nella superstizione». Il metodo è quello della testimonianza, della «partecipazione al bene di tutti», perché «il primo segno della nostra fede sono le opere».

La comunicazione è essenziale

«La comunicazione tra di noi è essenziale» ha poi sottolineato don Domenico. «Non che basti comunicare per produrre il miracolo della comunione. Ma ne è un presupposto. Comunicare non è beninteso fare propaganda o peggio ancora pavoneggiarsi. Semplicemente è raccontarsi in tutte le forme e i linguaggi possibili».

«Oggi non si può prescindere dalla Rete – ha aggiunto – perché così accade nella vita. E se la fede è reale non può disertare questo spazio dove poter incontrare tutti. Il nuovo sito della diocesi è una possibilità. Il rilancio di «Frontiera» è un impegno di tutti».

Scarica le slide dell’intervento di mons. Pompili

Foto di Massimo Renzi.