Incontro Pastorale

Incontro Pastorale: lavori di gruppo con don Pierangelo Muroni per recuperare l’attesa di un giorno speciale

Il giorno dei lavori di gruppo all'Incontro Pastorale è stato don Pierangelo Muroni a guidare i diversi ragionamenti verso una riscoperta della domenica va oltre il precetto per aprirsi alla celebrazione per la vita

Di spunti di riflessione sulla centralità della domenica ne aveva offerti in abbondanza, il primo pomeriggio dell’incontro pastorale, la corposa relazione di Andrea Grillo. Nel secondo giorno di ritrovo, è un suo allievo a prendere la parola per un più breve ma non meno valido intervento su questa centralità, sulle cui sfaccettature di lì a poco saranno chiamati a confrontarsi tutti i partecipanti nei lavori di gruppo che esamineranno le diverse problematiche che interessano il vissuto pastorale delle comunità riguardo il giorno del Signore.

Il sabato pomeriggio nel salone del centro pastorale di Contigliano, dopo la preghiera di apertura, parte così con la riflessione di un altro esperto di liturgia: don Pierangelo Muroni, docente al Sant’Anselmo e all’Urbaniana. E lui, liturgista, chiarisce subito che l’aspetto liturgico è sì quello principale, ma non l’unico nel determinare il dies Domini. Guardando gli atti dei martiri che, nel cristianesimo antico, per potersi riunire a celebrarlo non esitavano ad affrontare persecuzione e morte, si vede che l’attenzione è concentrata, più che sull’esigenza di celebrare l’Eucarestia, sulla “domenica”. La primarietà è l’esigenza di vivere la pasqua settimanale, prima ancora della sua esplicitazione che è la Messa. «Pensiamo a molte comunità cristiane, come quelle brasiliane, che non hanno l’Eucarestia perché prive di presbiteri, eppure si radunano ugualmente attorno alla parola di Dio: possiamo dire che non hanno la domenica? Sicuramente non ce l’hanno in pienezza, ma non per questo non celebrano la risurrezione del Signore!».

Muroni richiama le sottolineature che già nel 1981 i vescovi italiani davano nella nota pastorale su “Il giorno del Signore”, parlando di esso come giorno non solo del culto, ma anche della comunione e della carità. In questo senso, dunque, spiega il sacerdote, «cambia anche la visione del cosiddetto precetto domenicale», da vedere come «non solo partecipazione al culto, ma anche inveramento di quanto celebrato nel banco di prova che è la vita». Grande grazia, dunque, è poter avere l’Eucaristia, per noi che ancora ce lo possiamo permettere senza troppi problemi. Ma «si tratta di offrire anche occasioni di esperienza comunitaria e di festa», con un pensiero particolare alle famiglie «affinché, ci dicono i vescovi, il giorno della festa possa rinsaldarne l’unità».

La domenica deve essere vissuto come un giorno speciale, «che ogni cristiano dovrebbe attendere. Uno degli aspetti da recuperare nelle comunità è proprio l’attesa della domenica: non c’è altro giorno che i cristiani dovrebbero attendere di più se non l’ottavo giorno in cui celebrare speranza della nostra fede», secondo la tradizione dei primi tempi: «I cristiani dei primi secoli aspettavano la domenica vegliando, e all’alba si cantava l’Alleluia…i monaci quando il sole appariva tagliavano i salmi e cantavano l’Alleluia…». Allora è importante «educarci all’attesa della domenica oggi, nel tempo del fast, in cui tutto deve essere consumato velocemente». E c’è un modo con cui la Chiesa ci educa ad attendere la domenica: «attraverso uno strumento molto bello: la liturgia delle Ore, da riscoprire nelle nostre comunità. Una preghiera riconsegnata dal Concilio come preghiera pubblica e comune di tutto il popolo di Dio, non solo per chierici e religiosi. La liturgia delle Ore ci educa al tempo dell’attesa della domenica. Gli orientali ce lo insegnano: non hanno la Messa feriale, la giornata è scandita dalla liturgia delle Ore». Ed è, questo, un «cammino pedagogico della Chiesa che ci apre alla celebrazione dell’Eucaristia, diventa quella supplica che ci prepara al grande Kyrie della celebrazione domenicale. La preghiera di rendimento di grazie che prepara alla grande anafora della Messa». Vivere, allora, la liturgia delle ore che sfocia nell’Eucaristia domenicale «ci fa pare pace col senso del tempo. Diventa un tempo graziato».

Certo, il culmine della domenica è e resta la celebrazione eucaristica. «Eucaristia come momento privilegiato, cuore di tutta la comunità cristiana che celebra insieme. La vita della parrocchia ha il suo centro nel giorno del Signore e l’Eucarestia è il cuore della domenica». Di qui l’esigenza di «un’attenzione ancor più grande alle celebrazioni domenicali come momento in cui la comunità si ritrova in modo corale», presenti i suoi gruppi e le sue articolazioni interne. Occorre allora, dice Muroni, «spendere ancor più energie a far percepire il noi ecclesiale della celebrazione. Ci fa scoprire che siamo comunità, non un insieme di individualità, ma Chiesa essa stessa corpo di Cristo. Non si parla alla prima persona singolare, ma alla prima plurale. L’Eucaristia della domenica ci fa dare tutti del tu, ci rende tutti fratelli, ci fa scoprire il senso della comunità».

Nella liturgia non ha senso il privato: o si si sente famiglia, o non ha senso celebrare. E la liturgia rinnovata post conciliare insiste molto su questo senso di comunità riunita: «Basta fare confronto tra il messale tridentino e il nuovo messale di Paolo VI» e leggere la “rubrica”  che indica il rito iniziale della Messa: nel vecchio si diceva che il prete, assunti i paramenti, accede all’altare, invece il nuovo messale precisa “quando il popolo è riunito, il ministro accede”: una concezione per cui «non manifestazione piena della Chiesa se non c’è il popolo riunito!».

Anche l’atteggiamento dell’ascolto (il relatore cita Romano Guardini che non vedeva di buon occhio l’uso dei foglietti, perché la parola di Dio va ascoltata in modo comunitario, non ognuno che legge il proprio foglietto!), anche l’atteggiamento del corpo deve manifestare questa profonda unità della comunità. La liturgia, infatti, spiega don Pierangelo, «non esprime la spiritualità individuale, ma la spiritualità di un popolo in preghiera. Non vuol dire cadere in uniformismo, ma vuol dire trasmettere attraverso il corpo, i gesti e gli atteggiamenti la fede della Chiesa».

A breve uscirà la nuova edizione del Messale romano: sarebbe bello, afferma il relatore, che nelle diocesi si organizzasse «una consegna a tutti, anche ai laici, del nuovo messale: un impegno per curare tutti meglio le nostre celebrazioni».

La liturgia, precisa Muroni, ha un suo linguaggio e una sua forma da rispettare, perché esprime dei concetti precisi. Ad esempio, si prevede che l’altare venga “apparecchiato” solo al momento dell’offertorio, non che ci sia subito sulla mensa calice, ampolline, messale e quant’altro sin dall’inizio della Messa. «Perché, non è la stessa cosa? La liturgia dice che la tensione all’inizio è tutto sull’ascolto della parola, tutto verso l’ambone; con la liturgia eucaristica cambia la tensione, si sposta sull’altare che a questo punto, non prima, si concentra. Solo dopo la preghiera dei fedeli il prete va all’altare».

La riscoperta della domenica va oltre il precetto per aprirsi alla celebrazione per la vita. E  qui occorre far attenzione a interpretare l’insistenza sulla “Chiesa in uscita”, cara a papa Francesco, «come se ci fosse contrapposizione con la Chiesa che celebra, prega, vive i sacramenti, una all’interno, l’altra impegnata ad uscire verso le periferie. Il convegno di Firenze ci ha ricordato che la Chiesa che prega è anche la Chiesa in uscita», tiene a precisare don Pierangelo. E una Chiesa in uscita «dovrebbe valorizzare proprio nel giorno di domenica quelle celebrazioni legate agli eventi della vita, specie quelli occasionali, come battesimi, matrimoni, funerali…» che diventano occasioni per incontrare anche i cosiddetti “lontani”. Del resto, una Chiesa che prega bene e appare una famiglia unita non diventa, di per se stessa, anche attrattiva e missionaria?