Incontrare Gesù dietro le sbarre. Il vescovo ha amministrato i sacramenti dell’iniziazione cristiana a tre detenuti

Il vescovo Domenico ha amministrato i sacramenti dell’iniziazione cristiana in uno spicchio di Chiesa «privilegiato»: la Casa circondariale. Un avvenimento che riguarda tutta la comunità cristiana locale e non solo. Costruito fuori dal contesto urbano, in un’area priva di servizi, il carcere di Rieti, inaugurato nel 2009, rimane al di fuori degli interessi e dell’immaginario della maggior parte dei reatini. Eppure i suoi “abitanti” sono parte della popolazione, un pezzo della comunità cui occorrerebbe rivolgere maggiore attenzione

Pensando al carcere, a molti di noi verranno in mente le mura alte che impediscono di uscire e i cancelli di ferro che chiudono le celle. Ma all’interno della Casa circondariale di Rieti c’è una porta aperta per chiunque decida di attraversarla: è quella della cappella in cui don Paolo Blasetti celebra l’Eucaristia. La stessa che nel pomeriggio di lunedì 18 aprile ha visto due detenuti albanesi e uno zingaro di nazionalità bosniaca ricevere dal vescovo Domenico i sacramenti dell’iniziazione cristiana.

La situazione del carcere di Rieti è multietnica e multireligiosa, ma il cappellano è “il cappellano” di tutti: «Ovviamente non mi occupo della preghiera dei musulmani – spiega don Paolo – ma ho inevitabilmente a che fare con loro. Su 250 detenuti, sono circa 60 quelli che frequentano regolarmente la Messa. E tra di loro qualche volta ci sono anche dei musulmani».

È in questo clima che sono maturate le conversioni dei tre “ospiti” della Casa circondariale. La carcerazione è un’esperienza intensa, certamente dura, ma permette una riscoperta molto forte della vita spirituale. Soprattutto per chi in queste faccende è “a zero”, come i due albanesi. Pur non avendo alcuna formazione religiosa, essi hanno scoperto che il senso profondo delle cose può essere recuperato grazie al Vangelo anche nella difficile situazione di vita che stanno attraversando.

Una pena che hanno affrontato affiancati da don Paolo, sostenuti da un percorso di catecumenato molto serrato, durato all’incirca due anni, con il quale si sono preparati a ricevere il battesimo, mentre al cittadino bosniaco è stato amministrato il sacramento della cresima.

La celebrazione è stata arricchita musicalmente dalle suore di Santa Filippa Mareri, che hanno preparato al canto anche un gruppo di detenuti. Un ulteriore tassello nella vita spirituale del carcere, che va ad aggiungersi al gruppo di preghiera, in cui si cerca di confrontare Parola e vita, e ai colloqui di carattere personale, attraverso i quali i singoli cercano di approfondire il proprio rapporto con Dio e di scavare in se stessi. Itinerari umani che nell’Anno della Misericordia assumono un sapore particolare: con la Porta Santa aperta da Mons. Pompili alla vigilia di Natale, il carcere è diventato un ambiente sacro, le celle luoghi di perdono dei peccati.

Ma c’è ancora molto da fare per umanizzare la vita dei detenuti. Il cappellano si occupa anche di provvedere a cose pratiche, a bisogni materiali, grazie al sostegno che riceve dal vescovo. E in questo genere di interventi si muove anche l’impegno volontario della Sesta Opera di San Fedele. Il punto è altrove. Il vero nodo da sciogliere non è dentro, ma fuori dalla prigione. C’è da prendere coscienza del fatto che il carcere c’è. Il nuovo complesso circondariale, con la sua posizione decentrata e distante, rimane isolato, circondato dal niente. Manca la consapevolezza dei bisogni, di cosa sia la giornata dei detenuti.

Eppure dietro le mura c’è vita. C’è la scuola fino alla terza media, grazie all’istituto Rosatelli, e si fanno esperimenti di formazione e di lavoro. Una bella novità di quest’anno è la partecipazione al premio letterario, con gli autori che visitano i detenuti e fanno le presentazioni all’interno del penitenziario. Ma non si riesce ancora a includere pienamente il carcere nell’orizzonte dei “luoghi” di Rieti, a rendere possibile una qualche relazione tra il dentro e il fuori. Del complesso inaugurato nel 2009, semplicemente, non si parla.

Durante la prima settimana del prossimo ottobre, la diocesi festeggerà il suo Giubileo con i carcerati. Forse sarà quella l’occasione per la ricucitura di questo strappo nel tessuto della città. Dopo tutto, i riti celebrati lo scorso lunedì ci dicono che la comunità cristiana si estende fino all’interno delle celle dei detenuti. E non sembra impossibile che la stessa grazia possa capitare anche alla società civile.