Chiesa di Rieti

Inaugurato il nuovo “Centro di Comunità” di Cantalice: un «giorno felice» nel segno della collaborazione

Sabato 14 dicembre, alle pendici del paese di Cantalice, nella frazione a ridosso del bivio di Poggio Bustone, è stato inaugurato il Centro di Comunità donato da Caritas italiana

Un giorno felice? Forse anche felicità diventa un termine riduttivo per descrivere quanto successo sabato 14 dicembre alle pendici del paese di Cantalice. Nella frazione a ridosso del bivio di Poggio Bustone, non meno di trent’anni fa, nacque per volere del parroco monsignor Gottardo Patacchiola una chiesetta prefabbricata, quasi un container adibito a luogo di culto che ai tempi cadde come una vera “manna dal cielo” per una località che stava crescendo, e popolandosi man mano.

Nel tempo, quella chiesetta dedicata a San Giuseppe rivestita in lamiera ha naturalmente risentito dei segni dell’usura, e la frazione Bivio si è riempita di bambini desiderosi di fare gruppo e impegnarsi in tante diverse attività: il coro parrocchiale, la tradizione della festa del patrono con la cottura delle frittelle, la scuola di teatro. Lo spazio diventava sempre più piccolo e segnato dal tempo, la popolazione sempre più numerosa.

Nel frattempo, tre anni esatti fa, come parroco arriva don Nicola Zamfirache, e segnala al sindaco di Cantalice Silvia Boccini e al vescovo Domenico la nuova esigenza. Il percorso burocratico non è facile, ma l’epilogo è splendido. Caritas Italiana finanzia una nuova struttura, e accanto alla piccola chiesetta prefabbricata ne sorge una nuova: più spaziosa, più moderna, ariosa e antisismica. Due piccioni con una fava, perché la vecchia struttura non solo non sparisce ma viene anche rivestita, e diventa oratorio, teatrino, salone per riunirsi e molto altro.

Al taglio del nastro non mancava proprio nessuno. La banda musicale, il sindaco con la fascia tricolore, don Nicola e don Gottardo, le confraternite, i vertici di Caritas con in capo il direttore monsignor Francesco Soddu, il vescovo Domenico e naturalmente la comunità intera. Tutti, nel discorso inaugurale, non hanno mancato di rimarcare la parola “collaborazione”, per sottolineare il lavoro di squadra necessario per portare a termine un risultato simile.

«Ringrazio don Gottardo – ha detto il vescovo Domenico – che ha voluto creare tanti anni fa una prima struttura, e che rappresenta la continuità per il territorio cantaliciano. E ringrazio la tenacia di don Nicola, che ha voluto ingrandirla e migliorarla, e che per questo territorio rappresenta la novità». Nell’omelia, monsignor Pompili si è rivolto principalmente ai bambini – bravissimi ad animare la celebrazione liturgica con i loro canti – esortandoli ad essere felici proprio come San Felice da Cantalice, conosciuto come un frate che portava giubilo ovunque andasse, «perché chi si lagna sempre dei propri problemi non solo non li risolve, ma ne crea anche agli altri».

Una figura ricordata anche dal direttore di Caritas Italiana, monsignor Soddu, incuriosito fin da bambino dalla figura del frate cappuccino che gli suscitava simpatia a partire dall’assonanza del nome e del paese di provenienza: «Per questo oggi sono doppiamente contento di essere qui e di aver collaborato a realizzare questo nuovo centro di comunità». Troppo commosso don Nicola per proferire tante parole, ma l’emozione si scioglie davanti ai fuochi pirotecnici, predisposti per il gioioso evento.

Dopo la Santa Messa, spazio alle foto di gruppo e poi tutti in quella che era la prima chiesetta, e anche lì la parola d’ordine è stata “collaborazione”. Nelle lunghe giornate prima dell’inaugurazione, c’è chi ha predisposto tavoli e sedie e chi ha preparato il palco, chi ha sistemato la caldaia e chi ha fatto la pizza, chi ha offerto i panini e chi impastato le crostate. Ognuno la sua parte, per far vita ad una grande festa culminata con il taglio della torta, anch’essa generosamente offerta. A “tagliare” gli strati di panna con impressa l’effigie di san Giuseppe, il vescovo Domenico, don Gottardo e don Nicola, insieme: perché nessuna festa ha senso, se non la si vive e si prepara insieme.