In via Vaiano, una storia che ritorna

In via Vaiano si sta per ripetere la storia del villino di via Salaria. Alcuni immigrati occupano abusivamente lo stabile in cui erano stati sistemati dalla cooperativa che garantiva loro il percorso di accoglienza e integrazione. Ma questa volta i proprietari dell’immobile sono presenti e rivendicano il loro giusto diritto a rientrare in possesso degli appartamenti. Un problema giudiziario, ma anche sociale, che vede coinvolti i servizi del Comune

L’altra mattina m’è tornata in mente la Costituzione della Repubblica. Chi l’ha scritta aveva ben chiaro il diritto alla casa di ciascuno. E nelle pagine vicine aveva stabilito i limiti e le garanzie che si trovano dietro alla proprietà privata.

Pensieri che mi attraversavano la testa partecipando a un vivace assembramento appena fuori la chiesa della Madonna del Passo. In ballo c’è un tentativo di sfratto, il quarto, del gruppo di rifugiati che occupa l’immobile di fianco.

Per certi versi si sta ripetendo la storia degli occupanti del famigerato “villino di via Salaria”. Le cooperative incassano bei soldi dallo Stato per dare vita a progetti di integrazione. Ma quando gli ospiti ottengono lo status di rifugiati, si scopre il loro italiano stentato, una qualche difficoltà a comprendere le situazioni, la mancanza di una professionalità utile in Italia.
Chi si assume il compito di accoglierli li sistema da qualche parte e se li dimentica. Non sanno come pagare l’affitto e le bollette, e nessuno paga più per loro. Quello che accade dopo è inevitabile.

In via Vaiano sono 22 persone a condividere la prospettiva dello sfratto. E non c’è dubbio che le proprietarie dell’immobile abbiano il diritto di tornare ad averne la disponibilità. Ma è pure evidente che per queste persone ci vuole un’alternativa alla strada.

Il tentativo di sfratto è poi andato a vuoto. Ma dal 2014 i nordafricani sono abusivi e senza più nemmeno acqua e luce dentro i due appartamenti. Un caso sociale e giudiziario insieme.

Nel tentativo di capire cosa accade arriva don Valerio Shango, direttore dell’Ufficio Problemi Sociali e Lavoro della diocesi. Parla con i rifugiati, con le proprietarie della palazzina e l’avvocato, con le istituzioni. La Prefettura fa sapere di non avere più voce in capitolo: quelli che gli sono noti, forse 6 su 22, hanno ottenuto lo status di rifugiati politici. Sulla carta possono cercarsi un lavoro o una sistemazione autonoma. Ma in pratica sono un altro caso per i Servizi sociali del Comune. «Per queste situazioni hanno fondi, che aspettano a usarli?», è la tesi di Antonio Ferraro di Cittadinanzattiva, associazione impegnata da tempo sui problemi dei senzatetto e dei rifugiati politici.

Per capirci qualcosa, in Comune ci va personalmente don Valerio: «I fondi li hanno finiti», ci spiega poi. «L’idea dell’Amministrazione è quella di fare colloqui individuali con ciascuno degli occupanti, alla ricerca di percorsi mirati di sostegno. È un primo passo, ma questo è un problema che chiama in causa l’intera città e il Paese: perché, nonostante i programmi di assistenza, nonostante i fondi pubblici spesi tramite le cooperative, queste persone non conoscono la lingua e non si sono mai realmente integrate. Come fanno in questa condizione a ottenere un lavoro, a provvedere a se stesse?».

Foto di Massimo Renzi.