In chiesa a tempo di swing

È iniziata il Primo maggio la rassegna musicale “Primavera in Jazz”. Organizzata dall’associazione Underground, si svolgerà ogni venerdì fino al 29 presso l’Auditorium dei Poveri in Via Garibaldi. Si esibiranno cinque gruppi differenti sia nelle formazioni strumentali che nel modo di interpretare il jazz, tutti alti rappresentanti del nuovo panorama jazz italiano.

«L’Associazione Underground opera sul territorio reatino da più di dodici anni. Ci chiamiamo Underground perché nasciamo un po’ come resistenza. È un po’ come ci sentivamo in questa città nel 2000. Facciamo resistenza partendo dal basso» ci spiega la presidente di Underground Danila Fenici. «Abbiamo iniziato con delle rassegne cinematografiche perché sentivamo il bisogno, l’esigenza personale di avere uno spazio che ci permettesse di vedere dei film che non fossero quelli commerciali che ci proponeva l’unico cinema i funzione nella città. Da lì siamo diventati un po’ più grandi e abbiamo cominciato a proporre anche dei festival musicali perché secondo noi mancano gli spazi. Abbiamo notato che c’erano tantissime persone che suonavano ma non avevano la possibilità di esibirsi. La cultura è creazione, ascolto, fruizione, ma anche spazio».

A proposito di spazi: in queste settimane è tornato al centro dell’attenzione il futuro delle Officine Varrone.

Debbo dire che quando hanno aperto le Officine Varrone per noi è stato un grande colpo. Siamo un’associazione piccola, lavoriamo con piccoli mezzi e realizziamo piccole cose. Soprattutto in estate, perché gli spazi pubblici aperti sono più utilizzabili degli spazi chiusi, che non si trovano. Quando la Fondazione ha cominciato a proporre tutta quella serie di eventi, tutte le sere, senza lasciare spazio a nessuno noi ci siamo bloccati. Non è una questione di “concorrenza”: io vedo con favore il fatto che si moltiplichi l’offerta: ci sono tanti gusti, tanti interessi, è bene che ci sia l’offerta più ampia possibile. Però bisogna anche lasciare lo spazio per poter offrire una alternativa.

In ogni caso colpisce che uno dei temi ricorrenti affrontati qui all’Auditorium dei Poveri è proprio quello degli spazi della cultura…

È un tema decisivo. Gli spazi sono necessari. Ma occorre anche “pensare” gli spazi. Ci sono come due linee: una è riutilizzare uno spazio – come accade qui all’Auditorium dei Poveri – per ricavarne nuove cose. Ma occorre pure creare spazi appositi per attività precise. Ad esempio a Rieti di Auditorium veri e propri non ce ne sono. Ci vorrebbe una sala di media capienza – che non sia il teatro – studiato appositamente. Poi ci sarebbero da valorizzare adeguatamente spazi dimenticati come la sala degli specchi del Vespasiano. In generale Rieti abbonda di spazi abbandonati.

C’è anche il tema di un accesso agli spazi pubblici frenato da costi elevati…

Sì, e questa è una contraddizione perché il Comune dovrebbe investire sulla cultura. Il famoso «non si mangia con la cultura» ci sembra sbagliato. Se anche fosse vero sul piano economico, occorre ricordare che con la cultura si cresce in tante altre cose, si alimenta una cittadinanza più attiva e consapevole, sulla quale si può contare. Noi portiamo avanti l’idea che la cultura sia un bene comune, un bene necessario come l’acqua pubblica e come tante altre cose. Come c’è il diritto alla salute, c’è il diritto alla cultura. È una dimensione che non si può esaurire solo nella scuola o nell’università. Se mi viene in mente di strimpellare una chitarra e ho uno spazio per questo posso trovare un pubblico e crescere.

È un modo di concepire gli spazi culturali anche come servizio più generale alla comunità?

Certamente. Durante le prove per il concerto del Primo maggio ci è capitato che molte persone siano entrate nell’Auditorium dei Poveri chiedendoci: «cosa possiamo vedere, dove possiamo andare, cosa c’è di bello», lamentandosi del fatto che in città quasi tutto fosse tutto chiuso…

È brutto perché una città ferma non è certamente una città in festa!

Beh, non solo: ci siamo ritrovati a fare un po’ da ufficio di informazione turistica. Evidentemente c’è qualche carenza.

Forse è la conseguenza delle nostre contraddizioni nel rapporto con lo Stato. Da un lato accusiamo gli enti pubblici di essere troppo costosi e inutili. Dall’altro ci lamentiamo se fiaccati dal blocco del turn-over, o dal “Patto di stabilità” non ce la fanno più nemmeno a tagliare l’erba.

C’è anche un altro aspetto. Vicino casa mia c’è un parchetto. E tutti si lamentano per l’erba alta e la sporcizia. Ma quello è un segno di abbandono non solo da parte del Comune, ma anche dei cittadini. Tornare a vivere anche quegli spazi, utilizzarli per delle attività, sembra l’unico modo per invertire la rotta.

È la direzione verso cui sembra andare la strategia di affido del verde pubblico disposta dall’assessore Ubertini. Ma torniamo a parlare di cultura: storicamente la Chiesa ne è stata una grande promotrice. Poi abbiamo assistito in parte ad un ritrarsi della Chiesa, ed in parte ad un disinteressarsi del sacro da parte degli artisti. È possibile immaginare – anche in una città come Rieti – che la Chiesa ridiventi motore di cultura? C’è possibilità di dialogo tra la Chiesa e gli artisti? E può nascere qualcosa da questo?

Secondo me sì, anche perché oggi la Chiesa ha un “promoter” che sta spingendo e sta vicinissimo a tutti con una modernità ed una attualità che ti fanno domandare: «perché le stesse parole non si sentano dalla bocca della politica?». A parte questo, non molto tempo fa l’oratorio era ancora la base, il punto di incontro. Un punto d’incontro che adesso non c’è più per i ragazzi. I ragazzi oggi non hanno un luogo dove giocare, fare esperienza, vedere i film. In fondo le sale d’essai erano tutte della Chiesa, era la Chiesa a fare cultura. In generale c’è da dire che tanto gli intellettuali quanto gli artisti non solo non si incontrano più con la Chiesa, ma neanche con le istituzioni. Ma in piccolo c’è da aggiungere che esperienze come queste dell’Auditorium dei Poveri indicano che un percorso insieme è possibile.