Impedimenti matrimoniali per vincoli familiari

Le stesse motivazioni che stanno alla base dell’impedimento di consanguineità, si tengono presenti per proibire il matrimonio tra affini, e questo perché se nel matrimonio i coniugi diventano “una sola carne”, è giusto che in qualche modo i consanguinei dell’uno lo siano per l’altro.

L’affinità che continua anche dopo la morte del coniuge, cessa invece con la dichiarazione di nullità del matrimonio da parte dei Tribunali Ecclesiastici. Se ci si trova di fronte però ad una situazione in cui a seguito di un matrimonio invalido è seguita una convivenza, ovvero se l’uomo o la donna hanno convissuto in modo pubblico e notorio, senza avere celebrato le nozze, tra essi ed i parenti più stretti dell’altro si crea un vincolo analogo a quello di affinità che quindi rende difficile l’unione matrimoniale. Il diritto canonico in tali casi prevede l’impedimento della cosiddetta pubblica onestà, che ha, rispetto all’affinità, una estensione decisamente e giustamente minore, arrivando a rendere nulle le nozze solo nel primo grado della linea retta tra l’uomo e le consanguinee della donna (cioè madre e figlia di questa) e viceversa.

L’impedimento è per sua natura perpetuo, cioè cessa solo se dispensato dall’Ordinario del Luogo; per ottenere tale dispensa sono richiesti dal diritto ecclesiastico gravi motivi. Tale impedimento esiste per ragioni di pubblica moralità e di convivenza sociale: si vuole infatti tutelare la dignità e la salute della famiglia e l’integrità dei costumi. Molte coppie cattoliche oggi scelgono di unirsi con il solo matrimonio civile, ovvero quello celebrato dinanzi ad un pubblico funzionario dello Stato nella forma prescritta dalla legge civile. Questo matrimonio è nullo “ipso iure”, ma i cattolici che per motivi ideologici o pratici preferiscono contrarre solo il matrimonio civile, rimandando quello religioso, non sono equiparati dal diritto ai semplici conviventi, in quanto è chiaro che in questi coniugi si riscontra almeno un certo impegno stabile di vita, anche se spesso non è esclusa in questa ottica la possibilità del divorzio.

Il matrimonio civile contratto tra due persone non soggette alla legge della Chiesa è invece pienamente valido. Sono vincolati all’osservanza della forma canonica per la celebrazione solo i battezzati che non si siano separati dalla Chiesa con “atto formale”. Nella nostra società in cui domina l’indifferenza religiosa è rarissimo il caso del battezzato che si rivolga al parroco per dichiarare formalmente di non volere più appartenere alla Chiesa: questo andrà perciò desunto da atti di formale adesione ad altre comunità religiose o associazioni che professano dottrine incompatibili con quelle della Chiesa Cattolica. È chiaro quindi che possono sorgere incertezze e problemi interpretativi e poi pratici che porterà di volta in volta a considerare il battezzato che ha celebrato il matrimonio civile come validamente coniugato, semplice convivente o concubino.