Il vescovo: imparare da don Luigi Bardotti a vincere la rassegnazione con l’azione

Sono state celebrate nel primo pomeriggio di martedì 18 ottobre le esequie di mons. Luigi Bardotti, parroco di Santa Lucia e canonico della Cattedrale

In tantissimi hanno voluto essere presenti nella chiesa di San Domenico per l’ultimo saluto a mons Luigi Bardotti. Il parroco di Santa Lucia si è spento a 75 anni, poco dopo aver festeggiato 50 anni di sacerdozio. Ad accompagnarlo nell’ultimo viaggio, un corteo che dalla chiesa di San Nicola si è diretto a piazza Beata Colomba: il feretro è stato scortato da sacerdoti, fedeli e banda musicale.

Il funerale è stato celebrato dal vescovo Domenico nella grande chiesa duecentesca, recuperata al culto proprio grazie alla volontà tenace e visionaria di don Luigi. Un’opera che il sacerdote ha completato realizzando un’altro sogno: la costruzione dell’organo Dom Bedos Roubo. E lo strumento non ha mancato di accompagnare mons Bardotti per quest’ultimo tratto di strada, aggiungendo la sua voce a quella del Coro, altra preziosa creatura musicale del parroco.

Il testamento di don Luigi

«Ho scritto con la vecchia penna stilografica del beato Luigi Novarese: la penna dei miei momenti importanti». Scriveva così don Luigi Bardotti, nella lettera di rinuncia all’incarico di Parroco di S. Lucia inviata al vescovo Domenico pochi giorni fa.

«Si trattava, in realtà, del suo testamento», ha sottolineato oggi mons. Pompili durante i funerali del sacerdote, cogliendo in quelle righe la trama della sua vita. Scriveva infatti don Luigi:

Ringrazio Dio e la Madonna di quanto ho avuto: non è stato poco. Ho cercato di valorizzare al massimo le persone e le cose, le opportunità che ho avuto. […] Per i miei 50 anni di Sacerdozio ho ricevuto e spero anche testimoniato la mia riconoscenza anche a questa bella Chiesa di Rieti.

La lezione della gratitudine

«La gratitudine – ha spiegato don Domenico – è la prima qualità che don Luigi ci ha insegnato. Una merce oggi assai rara, quando a prevalere è spesso il risentimento e il piangersi addosso, dimenticando le chances che ciascuno ha ricevuto a piene mani».

Questa è la gratitudine: «non è il lusso di chi ha troppo, ma il coraggio di chi si fa piacere quello che sembra poco». È il sentimento che prova l’apostolo Paolo in carcere: «abbandonato dai suoi amici, non ha perso nulla della sua fede e del suo coraggio nell’annuncio del Vangelo».

Lontano dalla rassegnazione

Quindi il vescovo ha guardato alla vitalità di don Luigi, a quella forza che «lo ha reso un riferimento per intere generazioni di ragazzi». Una lezione appresa alla scuola di don Novarese, nella lotta contro l’emarginazione dei disabili e degli ammalati: «Questa energia vitale è il capovolgimento delle sorti negative lontano dalla rassegnazione e vicina all’azione. Nel ‘bel san Domenico’ ove ci troviamo è facile capire la forza di don Luigi che ha trasformato una hiesa diruta in una tempio della fede, ma anche della musica e dell’arte».

Ora penso spesso a cosa farò nella Chiesa celeste ove spero di giungere nonostante i miei limiti.

Si chiude così l’ultima lettera del parroco di Santa Lucia. «Se gli effetti dell’azione pastorale e culturale di don Luigi sono sotto gli occhi di tutti, la linfa segreta della sua vita sta in questo semplice pensiero intorno al “cosa farò”» ha detto mons. Pompili.

Il segreto di don Luigi

«Fa un certo effetto pensare a cosa farà ora don Luigi. Stregati dall’attivismo spesso inutile quando all’opposto dall’inerzia sempre ciarliera ci meravigliamo di una tensione così nitida e di una speranza così coinvolgente. Eppure – ha concluso don Domenico – qui sta il segreto di un uomo come don Luigi: l’attesa di quello che farà ancora, grazie a Dio. La fede è tutta qui. E noi siamo grati a don Luigi perché ci ha rischiarati con la freschezza quasi fanciullesca, a volte perfino ingenua, della sua testimonianza. È questo il tratto che lo accredita come un discepolo autentico, secondo le parole del Maestro: “Ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi”».